Riceviamo e pubblichiamo:
Le scriventi Associazioni Venatorie riconosciute ribadiscono la loro assoluta contrarietà all’ art. 32. (Razionalizzazione dei Comitati di Gestioni degli A.T.C. e C.A.) del Ddl. 143, là dove esso testualmente recita: “La Giunta regionale può affidare la gestione di più Ambiti Territoriali di Caccia (A.T.C.) e Comprensori Alpini (C.A.) ad un unico Comitato di Gestione, secondo le disposizioni dettate dalla stessa.”
Crediamo che l’operazione che si vorrebbe portare a compimento nulla apporterebbe in termini di efficienza gestionale od operativa, e tantomeno potrebbe creare risparmio economico; al contrario risulterebbe del tutto controproducente, essendo l’attività di presidente e membri dei comitati di gestione di A.T.C. e C.A. prestata a titolo assolutamente gratuito, e dunque non incida che minimamente sui conti degli stessi, se non per un rimborso spese inevitabilmente destinato a diventare molto più gravoso per le casse degli enti qualora fossero previsti grossi spostamenti per i singoli componenti.
A tutto ciò s’aggiunge la violazione dei sani principi che ispirarono la l.157/92 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) laddove vollero legare sempre più il cacciatore al suo territorio al fine di favorirne la corretta gestione e, aggiungiamo noi, infine di tutelare l’ambiente con la difesa di preziosissime biodiversità che paiono a noi come valori assoluti, irrinunciabili, e che il mondo venatorio da sempre difende.
Non si capisce dunque come si potrebbero raggiungere queste preminenti finalità prevedendo “comitati di gestione” spalmati su aree amplissime, spesso nemmeno omogenee tra loro, come quelli che nascerebbero da accorpamenti indesiderati dovendo amministrare l’attività venatoria privi della giusta rappresentanza territoriale.
D’altro canto anche il recente pronunciamento della Corte Costituzionale in riferimento alla Regione Toscana ci offre spunti molto interessanti, giacché laggiù s’era previsto d’accorpare per legge gli A.T.C. esistenti, creandone uno per ogni singola provincia, con sotto-ambiti a questi collegati. A fare ricorso contro la nuova legge sulla caccia in quel caso fu la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri, cui ha dato riscontro la Consulta con una sentenza, la n.124 del 5 aprile 2016 depositata in cancelleria il 1 giugno, e destinata a far storia, diventare per altri modello cui ispirarsi.
Per la Corte Costituzionale l’impostazione proposta da Regione Toscana risulta del tutto "illegittima", così scrivono i giudici, perché essa "tradisce" la finalità del legislatore statale di volere "…attraverso la ridotta dimensione degli ambiti stessi, pervenire ad una più equilibrata distribuzione dei cacciatori nel territorio" e di conseguenza "…conferire specifico rilievo alla dimensione della comunità locale, più ristretta e più legata sotto il profilo storico e ambientale alle particolarità del territorio".
“Il carattere provinciale dell’ambito voluto invece dal legislatore toscano” si legge ancora nella sentenza “al quale si lega l’istituzione di sottoambiti privi di funzioni amministrative, tradisce questa finalità. Esso diluisce infatti una sfera di interessi (connessi alla caccia e alla tutela dell’ambiente) incentrata sul territorio locale, nella ripartizione per province, ove la dimensione territoriale implica più ampie e meno specifiche esigenze di decentramento amministrativo”.
Nel suo ricorso il Governo ”ritiene lesiva della competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.) l’attribuzione agli ambiti di una dimensione provinciale, in contrasto con quanto previsto dall’art. 14, comma 1, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), secondo il quale le Regioni ripartiscono il territorio destinato alla caccia in ambiti territoriali di dimensioni subprovinciali, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali”.
La tutela dell’ambiente appare dunque come una prerogativa esclusiva dello Stato e dunque, secondo noi, non incentiva iniziative come quella che si vorrebbe assumere in Regione Piemonte, e lo si apprende dall’interessante lettura del documento sopra citato in cui emerge un concetto importantissimo: “Questa Corte ha ripetutamente riconosciuto che la costituzione degli ambiti territoriali di caccia, prevista dall’art. 14 della legge n. 157 del 1992, manifesta uno standard inderogabile di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, con riferimento sia alla dimensione subprovinciale dell’ambito (sentenze n. 142 del 2013 e n. 4 del 2000), sia alla composizione degli organi direttivi (sentenze n. 268 del 2010 e n. 165 del 2009)”.
Ecco perché reputiamo non si debba procedere sulla strada di eventuali accorpamenti, nemmeno sull’eventuale previsione di una futura ridefinizione di superfici e/o confini di A.T.C. e C.A. che alla fine tradirebbero le finalità volute dal legislatore; noi crediamo che l’orografia particolare del territorio piemontese, e la presenza di confini naturali, rendano gli attuali ambiti e comprensori strutture adeguate al rispetto delle finalità individuate dalla recentissima sentenza della Corte Costituzionale.
Invitiamo dunque la Giunta e il Consiglio regionale piemontese a prenderne dovutamente atto, intervenendo al più presto sulla questione, e stralciando l’articolo 32 dal Ddl 143, che nulla c’entra con la materia venatoria.
Anuu Migratoristi, Federcaccia Piemonte, Enalcaccia, EPS, ANLC