E' stata pubblicata in questi giorni la sentenza breve del Tar di Bologna, che in data 27 luglio ha respinto tutti i motivi del ricorso della Federcaccia di Ravenna contro la disposizione del calendario venatorio regionale che ha vietato l'utilizzo del cellulare ai cacciatori salvo quanto previsto dal regolamento sulla caccia agli ungulati (limitatamente al momento organizzativo dell'azione di caccia o per garantire l'incolumità delle persone) e nei casi in cui risulti di primaria importanza tutelare la salute personale.
L'associazione venatoria, che è stata condannata al pagamento delle spese di giudizio (2 mila euro), ipotizzava un illecito amministrativo oltre ad evidenziare, tra i vari motivi di ricorso, l'illogicità del provvedimento, visto che non esiste un divieto specifico di legge in tal senso, e che l’unica ragione plausibile e cioè il divieto di usare tali strumenti come richiami viene già sancita da altra norma.
Il Tar ha respinto punto su punto, osservando anzitutto che la legge non esclude l'integrazione di regole con provvedimenti amministrativi ma che al contrario lascia alle Regioni “poteri dispositivi che possono essere esercitati, nei propri calendari venatori, in senso più rigoroso e diverso rispetto a quanto previsto dalla normativa statale”. Il Tar si spinge oltre, osservando che “è un fatto notorio che gli strumenti di comunicazione radio-telefonici possono essere utilizzati dai cacciatori per agevolare la ricerca della fauna selvatica e per azioni di caccia congiunta”. “La previsione contestata – sottolinea il Tar - limita il divieto dell’utilizzo degli strumenti di comunicazione strettamente alla fase dell'esercizio dell'azione di caccia volendo regolamentare una modalità di caccia". "Peraltro - aggiungono i giudici - anche i calendari venatori provinciali già prevedevano analoghe disposizioni che non sono mai state oggetto di impugnazione”.
Respinta anche l'ipotesi di difetto in motivazione. “Il Calendario venatorio è un atto amministrativo generale che non necessita di puntuale motivazione di ogni sua previsione – dicono i giudici-. Peraltro la mancanza di una motivazione è compensata dall’iter procedimentale che porta all’emanazione dell’atto quando esso è portato all'attenzione delle varie categorie e associazioni interessate, fra cui anche l'odierna ricorrente, le quali hanno potuto presentare le proprie osservazioni, di cui il Calendario ha preso atto”.
Conclude la sentenza: “non vi è, infine, alcuna irragionevolezza: il divieto non vuole limitare il diritto di comunicazione, non è imposto per qualsivoglia motivo, anche solo per riferire ad un proprio familiare o amico un semplice ritardo, come affermato dall’associazione ricorrente, ma nel momento in cui il cacciatore sta esercitando la sua attività venatoria”.
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