Il Tar della Lombardia, sezione di Brescia, con sentenza depositata il 25 di novembre, ha respinto definitivamente il ricorso dei capisquadra in provincia di Bergamo, i quali si erano opposti al Piano provinciale di controllo del cinghiale emanato nel 2011, con il quale sono stati autorizzati interventi anche fuori dal periodo venatorio e le successive deliberazioni sul controllo del cinghiale.
Le squadre, tra le tante cose contestate (censimenti errati e sovrastimati, mancato utilizzo dei metodi ecologici e relativo parere Ispra), in particolare evidenziavano che “l’attività di contenimento affidata a soggetti impreparati (quali agenti di Polizia Locale e i proprietari e conduttori dei fondi, ndr) rischia di destrutturare la popolazione di cinghiali causando fenomeni di sbrancamento ed erratismo, che recherebbero maggiori danni alle colture e causerebbero incidenti stradali”.
Il Tar non è entrato nel merito del ricorso, rigettandolo per "difetto di legittimazione", dei ricorrenti. “Non si comprende quale sia la lesione subita – scrivono i giudici - 'per intervenire fuori dal periodo venatorio per contenere i cinghiali ove abbiano provocato danni': in qualità di cacciatori “specializzati”, essi sono legittimamente coinvolti negli interventi, per cui sfugge totalmente l’attitudine lesiva degli atti contestati. Anche per quanto concerne il rischio di danni alle culture e di incidenti stradali, resta oscura la posizione sostanziale che essi aspirano a salvaguardare”.
Secondo i giudici, i capisquadra non hanno dimostrato “quale sia l’interesse sostanziale che hanno inteso tutelare con la proposizione del ricorso né, conseguentemente, quale possa essere il vantaggio giuridicamente rilevante che conseguirebbe dall’annullamento degli atti impugnati”.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per questi motivi ha condannato i 13 ricorrenti a corrispondere all’amministrazione resistente la somma di 3.500 € a titolo di compenso per la difesa tecnica, oltre a oneri di legge”.