"Prorogare il periodo di caccia al cinghiale prossimo alla chiusura e programmare imminenti ed efficaci interventi di gestione e controllo all’interno delle aree protette di competenza, finalizzati a ridurre il numero dei cinghiali sul territorio". Queste le richieste del presidente della Coldiretti Umbria Albano Agabiti, contenute in una lettera inviata all’Assessore regionale all’agricoltura Fernanda Cecchini.
Il proliferare incontrollato dei cinghiali in tutta la regione - sottolinea Coldiretti - preoccupa ancor più se si considera cosa avverrà nel prossimo periodo di stop alla caccia, con danni sempre più rilevanti a semine e raccolti. Solo con una più efficace attività di prevenzione e controllo si possono limitare i danni e di conseguenza gli indennizzi alle aziende agricole, esasperate per una situazione ormai insostenibile.
L’invasione degli ungulati - afferma Coldiretti - provoca milioni di euro di danni alle coltivazioni e alle imprese agricole, ma si tratta di una problematica di tutta la collettività, come dimostrano anche i numerosi incidenti stradali a discapito della sicurezza dei cittadini, che, come successo recentemente a Terni, si trovano sempre più spesso a “tu per tu” con i cinghiali nei centri abitati. Anche i presidenti di Coldiretti Perugia e Terni, Luca Panichi e Massimo Manni, hanno scritto ai presidenti degli ATC umbri, per ribadire l’urgenza di una più efficace gestione e controllo della specie all’interno delle aree protette di competenza.
Dal 2005 - ricorda Coldiretti - il numero dei cinghiali presenti in Italia è praticamente raddoppiato, passando da 600.000 esemplari a oltre un milione nel 2015, anno in cui i danni alle produzioni hanno raggiunto complessivamente i 100 milioni di euro. In Umbria il numero di cinghiali negli ultimi 10 anni - stima Coldiretti - è passato da circa 25/30.000 a 75/80.000.
Quella dei danni da fauna selvatica - conclude Coldiretti - è una questione che riguarda non solo l’economia del settore primario e che comporta, tra l’altro, il rischio di un progressivo abbandono delle campagne e di quelle zone montane dove l’agricoltura è un fattore determinante anche per il presidio ed il mantenimento dell’assetto idrogeologico e ambientale.