La Cassazione in una recente sentenza ha confermato i precedenti orientamenti riguardo al divieto di caccia nelle aree protette anche laddove manchino i cartelli ad indicarlo. "La mancanza di tabellazione o la sua inadeguatezza non determinano automaticamente l'esclusione del reato o la non punibilità del reo, ma pongono a carico dell'accusa l'onere di dimostrare che, nonostante ciò, il trasgressore aveva la consapevolezza del divieto" si legge nella sentenza.
Come si valuta questa consapevolezza ce lo dice la sentenza. "Sulla base di elementi di fatto, quali, esemplificativamente, la conoscenza della zona". Ovvero, il cacciatore che risiede nelle vicinanze del suo luogo di caccia, si dà per scontato che conosca i limiti della stessa, soprattutto se i confini sono gli stessi da anni. Il cacciatore ricorrente, per aver cacciato all'interno dell'area protetta Saline Punta della Contessa, era stato condannato in appello a tre mesi di arresto e al pagamento di 1000 euro di multa. A questa pena si aggiungono 2000 euro per le spese processuali, che l'imputato dovrà versare in favore della cassa delle ammende.