Da Paolo Banti, Responsabile di settore Attività Faunistico Venatoria, Pesca dilettantistica e Pesca in mare della Regione Toscana, riceviamo e pubblichiamo:
RISPOSTA ALLA LETTERA APERTA DI URCA SIENA ALLA REGIONE TOSCANA
Quando per la prima volta apparve questo articolo, intorno alla metà del marzo scorso, il nostro Settore non lo ritenne meritevole di una risposta in quanto fu giudicato confuso, falso e, scusate, cialtronesco.
Adesso, a seguito della terza uscita, ci troviamo costretti a replicare, visto che quanto affermato in alcune parti della lettera è palesemente falso. Per fare un solo esempio, quando si parla della stesura della nuova normativa di settore, URCA non può dirsi non coinvolta, in quanto ha partecipato ad almeno due incontri sul nuovo regolamento ed è stata aggiornata puntualmente su tutti i passaggi che si sono susseguiti. Il regolamento è già stato approvato in Giunta Regionale e adesso, da circa un mese, è all'esame della II Commissione del Consiglio Regionale. Sicuramente sarà approvato nel brevissimo periodo e questo lo sa bene lo stesso Debolini, firmatario ma spero non autore del comunicato.
L’articolo risulta confuso, ad esempio quando si parla del presunto stallo nella definizione faunistico-venatoria del territorio toscano, in quanto i due ATC in provincia di Siena sono stati approvati da oltre 6 mesi con una legge regionale alla cui stesura ha partecipato anche URCA. Le designazioni dei componenti dei comitati sono già passate all'esame della Giunta Regionale.
Infine possiamo definire l’articolo cialtronesco in quanto contiene affermazioni generiche, immotivate, parziali e non oggettive.
Se avete la pazienza di continuare la lettura, spiegheremo anche perchè.
La scelta della Regione, anche in seguito alla Riforma Del Rio, è stata quella di uniformare la gestione faunistico-venatoria in Toscana: pur mantenendo le differenziazioni territoriali (con gli attuali 15 ATC) si è deciso di operare su tutto il territorio con i medesimi sistemi di monitoraggio, di redazione dei piani di prelievo, di stima dei danni, solo per citare gli aspetti di stretta attualità. In alcuni casi questa uniformità del modus operandi può avere creato disorientamento in situazioni gestite da decenni nello stesso modo.
Ma i vantaggi di una gestione uniforme su tutto il territorio regionale sono molto maggiori rispetto agli svantaggi.
Per la prima volta i monitoraggi sono stati svolti in maniera uniforme: nei vari ATC in passato anche il semplice “censimento a vista al capriolo” implicava delle metodologie e tempistiche estremamente diverse a seconda dei casi, per non parlare di tecniche di stima non sempre chiare. Invece è possibile fin d’oggi conoscere quanti caprioli ci sono in Toscana nel territorio degli ATC e delle Aziende e lo si può sapere dopo pochi giorni, senza aspettare mesi o anni, e senza affidarsi a stime o proiezioni. Un dato è un dato, e la cosa importante è che quel dato, una volta deciso come “prenderlo”, lo fornisca il mondo venatorio, sotto il controllo e il coordinamento degli ATC e delle Aziende, e in ultima analisi, della Regione.
Vi possiamo assicurare che quando ci si confronta con ISPRA o con il Ministero dell’Agricoltura o dell’Ambiente, per non parlare delle Regioni confinanti, portare dati oggettivi, certi e recenti sgombra il tavolo da molti argomenti poco chiari o costruiti ad arte per fare degenerare il confronto in polemica.
Le scelte gestionali della Regione non sono state fatte nel chiuso delle stanze e con pochi eletti. A partire dall’autunno del 2016 gli Uffici regionali hanno aperto un dialogo diretto tramiti appositi incontri con gli ATC e le Aziende, in particolare con la loro componente tecnica. Questo lavoro ha portato alla stesura delle Linee Guida di monitoraggio e prelievo, redatte dalla Regione Toscana e sottoposte a ISPRA, che ne ha dato parere positivo. Il dialogo con l’istituto è stato nell’ultimo anno continuo e costruttivo, confrontandosi in maniera laica e senza preconcetti sulle problematiche oggettive presenti sul territorio toscano.
Uno dei passi più importanti è stato quello di considerare, in accordo con ISPRA, le popolazioni di ungulati a livello di Comprensorio (cioè l'area costituita da ATC e istituti ad esso contigui): non è più possibile pensare a organismi di gestione autonomi (ATC, Aziende, Aree Protette) che operano in maniera scollegata l’uno dall’altro, anche in territori confinanti.
Il modello che la Regione Toscana ha intenzione di portare avanti somiglia a quello che URCA conosce bene e crediamo apprezzi: il modello ACATER. In questo caso due regioni, decine di ATC, Aziende e Parchi hanno lavorato insieme per gestire in maniera uniforme la popolazione del Cervo Appenninico. Solo così, con lo scambio di informazioni, monitoraggi e idee gestionali si possono superare paradossi (purtroppo presenti) nella gestione faunistica in Toscana, come la presenza di ungulati dentro le aree protette (dove non si fanno i monitoraggi) e non nei distretti confinanti (dove i monitoraggi si fanno ma i risultati sono nulli e quindi i valori totali sono nulli per l'intera area).
Questo modello è visto positivamente anche da ISPRA, che fino ad ora analizzava e valutava le unità di gestione (Distretti, Aziende, Aree protette) singolarmente e senza conoscere, se non in maniera macroscopica, la loro localizzazione sul territorio e le forti interrelazioni fra esse (si pensi ad una AFV totalmente circondata da un Distretto).
Entrando nel merito dei dubbi sollevati dall’articolo di URCA sulla Legge ungulati e in generale sulle scelte gestionali dell’ultimo anno, crediamo che un elemento debba essere fondamentale: la chiarezza. Scelte chiare portano a valutazioni chiare, solo così potremo valutare i risultati, senza perdersi nella nebbia dell’incertezza. Da questa considerazione parte la Legge Ungulati, dalla scelte chiare (che non vuole dire condivise) da applicare sul territorio. E da quanto indicato da ISPRA nelle proprie Linee Guida per la gestione degli ungulati del 2012. Andiamo nel dettaglio dei punti sollevati da URCA.
Differenti vocazionalità, diversi obiettivi gestionali. Il territorio della Regione Toscana deve essere diviso, per ogni specie ungulata, in due aree: area vocata, dove si effettua una gestione di tipo conservativo e un’area non vocata, dove effettuare una gestione di tipo non conservativo. Partiamo da qui. Questo è quanto richiesto da ISPRA nelle proprie Linee Guida e questo è quello che abbiamo fatto. Ciascuna delle due aree sopra individuate dovrà essere suddivisa in Unità di Gestione e avrà obiettivi gestionali diversificati. Ad oggi, per il capriolo, l’area non vocata non supera il 20% dell’intera SAF regionale. Va da se che le preoccupazioni dell’estinzione di massa dei caprioli in Toscana (portata avanti dalle associazioni ambientaliste, ma anche da qualche associazione venatoria) è del tutto infondata. Si tratta di scegliere: è possibile avere la stessa densità di caprioli nei vigneti (del Chianti o del Brunello) e in Appennino? Noi crediamo di no, anche se è ovvio che a qualcuno possa dispiacere.
Piano a scalare e distretti multi-specie. Crediamo fermamente che la preparazione e la capacità venatoria dei selecontrollori toscani sia fra le migliori a livello italiano, se non europeo. Tale certezza però deve confrontarsi con realizzazioni di piani di prelievo in alcuni casi molto basse. Questo può essere dovuto a diversi fattori: territoriali (presenza di bosco che impedisce un facile contatto con gli animali), antropici (presenza di lavorazioni agricole o tagli boschivi durante l’attività di caccia) ma in alcuni casi questo è dovuto a scelte del tutto personali. Per superare questi problemi, almeno il 70% del prelievo in area vocata deve essere effettuato con la modalità “a scalare”. Stesso discorso vale per i Distretti multi-specie: quando un selecontrollore esce a caccia (visto che purtroppo i cacciatori sono sempre meno e i costi per gli spostamenti sempre maggiori) deve avere la possibilità, se abilitato e autorizzato, di prelevare qualsiasi specie gli si presenti davanti, nel rispetto dei tempi e dei piani di prelievo. Cinghiale compreso.
Prelievo selettivo del cinghiale. La Provincia di Siena, insieme a quella di Pistoia, è stata la prima in Toscana e fra le prime a livello nazionale, ad aprire al prelievo selettivo del cinghiale, in area non vocata alla specie. Questa scelta, a Siena, ha avuto molte difficoltà realizzative di vario genere. Ma con la Legge Obiettivo il prelievo selettivo del cinghiale in area non vocata è diventato realtà su tutto il territorio regionale: la Toscana è stata la prima regione in Italia a fare ciò, un tipo di prelievo che appariva come fantascientifico solo fino a pochi anni fa, e che ISPRA (allora INFS) caldeggiava fin dagli anni ’90. Il primo anno di prelievo ha avuto dei risultati notevolissimi, se si pensa ai ritardi con cui il piano è partito e ai territori dove questo non è stato proprio fatto (quattro capi abbattuti a Prato e 46 a Grosseto, contro gli oltre quattromila a livello regionale). Viene da chiedersi il perchè in alcuni territori i selecontrollori abbiano osteggiato questa opportunità. E come mai proprio URCA, che fin dalla sua fondazione ha un “cinghiale” nel suo logo, chieda una separazione di questa caccia dal resto del prelievo selettivo. Come mai a Grosseto, terra del proprio Presidente regionale, URCA non ha richiesto con forza l’apertura del prelievo selettivo al cinghiale nelle aree non vocate, sottostando alle pressioni, sia occulte che palesi, di chi non vuole che si tocchino i “propri cinghiali”? URCA è stata nei decenni portatrice di innovazione e di supporto a INFS/ISPRA, come mai adesso si mostra così conservatrice rispetto alle novità prospettate dalla Regione, prese in accordo con ISPRA? Tornando all’articolo, i tempi del prelievo selettivo degli ungulati non devono assolutamente essere diversificati, al contrario devono coincidere il più possibile fra i vari tipi di prelievo, in modo da dare l’opportunità di attuare i piani di prelievo e di aumentarne di fatto l’efficacia.
Prelievo non conservativo nelle aree non vocate. Molti di quelli che leggono questo testo hanno seguito i corsi di preparazione al prelievo selettivo o almeno hanno sostenuto un esame per esserne abilitati. Molti hanno partecipato anche come docenti o come commissari agli esami. Ed è comprensibile e umano affezionarsi a nozioni gestionali stilate e studiate negli anni ’90 (prelievo conservativo massimo del 10% del censito, rigide regole di accesso al prelievo o alla scelta della sottozona, praticantato pluriennale solo per citarne alcune). Queste scelte, ovviamente non da sole, hanno portato a situazioni estremamente critiche in alcune parti del territorio toscano. Tanto è vero che anche ISPRA nella proprie Linee Guida ha dedicato un capitolo alle gestioni delle aree non vocate e ha dato parere favorevole a piani di prelievo pari al 100% (più l’incremento atteso della popolazione) chiesti negli anni passati.
Qui avviene la scelta: se il mondo venatorio vuole davvero essere il protagonista della gestione degli ungulati (e in particolare i selecontrollori si sono da sempre proposti come ottimi gestori delle popolazioni ungulate), quando viene posto un problema oggettivo di sovrabbondanza di animali, bisogna che venga data una risposta a quanto richiesto.
E questa non può essere il girarsi dall’altra parte, salire sul pulpito per insegnare l’etica venatoria, comprarsi l’ultimo modello di binocolo, salutarsi in tedesco o vestirsi con il loden.
Altrimenti, oltre che non essere onesti intellettualmente, si rischia che l’attività gestionale la facciano (a ragione) altri. Se comunque può interessare, i corsi di preparazione all’abilitazione al prelievo selettivo degli ultimi mesi insegnano cose un po’ diverse rispetto a quelli degli anni ’90. Sarebbe opportuno, se non è troppo faticoso, partecipare a questi corsi, o farne alcuni di aggiornamento o semplicemente leggersi le Linee Guida dell’ISPRA del 2012, scaricabili gratuitamente on-line, e mettere via le vecchie dispense anni ’90 o tenerle solo come un ricordo: il mondo, per fortuna, va avanti.
Corsi ed esami per il prelievo selettivo. Sui corsi qualcosa abbiamo già detto in precedenza. Già dal 2012, a livello regionale, i corsi non erano obbligatori. Si era piuttosto puntato su un programma di studi ben definiti, materiali di studio gratuiti e di livello, esami seri che prevedano prova scritta orale e prova di tiro. Così si è continuato a fare anche dal 2016 in poi: avrete sicuramente saputo che la percentuale di “bocciati” non è di poco conto negli esami per cervidi e bovidi.
Per quanto riguarda il cinghiale, in quel caso si è fatta una vera e propria “operazione culturale”. Strano che a URCA sia sfuggita o non piaccia: molti cinghialai, che non avevano mai fatto un corso o un esame in vita loro, sono stati costretti a fare un corso di tre ore, fare un esame scritto e confrontarsi con una prova di tiro ad un Tiro a Segno Nazionale con ispettore di linea (guarda caso scelta andata di traverso a chi gestiva piccoli poligoni privati, dove prima del 2016 si facevano prove di abilitazione, immaginiamo per pochi amici). Crediamo che portare oltre 10.000 cacciatori a confrontarsi con armi a canna rigata munite di ottica, sia sicuramente qualcosa di impensabile fino a poco tempo fa e non si capisce come URCA non ne abbia colto il senso e la portata. Certo 10.000 selettori in più vogliono dire tante cose, fra cui anche la messa in discussione di posizioni precedentemente acquisite. Il che non significa far diventare la caccia di selezione una “attività di massa” (e se anche così fosse, non ci capisce cosa ci sarebbe di male), ma cercare di aumentare le conoscenze tecniche e gestionali del mondo venatorio toscano.
Censimenti e monitoraggi. Nelle Linee Guida regionali, redatte in accordo con ISPRA, di cui abbiamo già ampiamente parlato, vi sono indicati i metodi di monitoraggio. Essi sono diversi, e cambiano in funzione dell’Unità di Gestione e delle sue caratteristiche. Ma sono standardizzati e per la prima volta avremo un dato uniforme su tutto il territorio regionale, nonché un similare sforzo di monitoraggio. Anche questo crediamo che sia un aspetto che a URCA interessi molto. Se è vero che i selecontrollori sono gli unici che svolgono operazioni di monitoraggio, e di questo li dobbiamo ringraziare, bisogna comunque che queste operazioni siano fatte seriamente e in modo tecnicamente valido. Le sottostime (o le sovrastime) dovrebbero essere estremamente limitate e il dato su cui poi calcolare il prelievo, un dato di per sé “buono”.
La Regione non naviga a vista: ha progetti ed obiettivi ben precisi. Anche sulla filiera della carne ungulata (siamo la prima Regione a mettere in una legge la trasformazione di un problema in una risorsa per il territorio) e la progressiva sostituzione degli interventi di controllo in art. 37 L.R. 3/94 (che è bene ricordarselo, non è caccia!) con il prelievo venatorio selettivo.
Il regolamento unico è al traguardo finale, gli ATC sono fase di rinnovo (in molti comitati sarà presente anche URCA), le Linee Guida regionali per il monitoraggio e il prelievo degli ungulati sono operative. Ora sta al mondo venatorio decidere: rimboccarsi le maniche e gestire il territorio, o ritirarsi da una parte sulla riva del fiume, aspettando che il cadavere della “caccia” come l’abbiamo fin ora pratica e amata passi, trasportato dalla corrente. In quel momento, chi facesse questa seconda scelta, potrebbe anche compiacersi, ma la mattina dopo per andare a caccia (qualsiasi, di massa o di élite che sia) dovrà chiedere il permesso al proprietario del terreno per entrarvi (e con molta probabilità pagarlo). Il tempo stringe. A voi la scelta.