Riceviamo e pubblichiamo:
La recentissima sentenza della Corte Costituzionale n. 139/2017 contro la Regione Liguria, oltre a insinuare molti sgradevoli dubbi e incertezze tra le amministrazioni regionali e nel mondo venatorio, in particolare ha sancito due principi di indubbia rilevanza: il primo, è che il controllo della fauna selvatica, effettuato ai sensi dell’art. 19 della legge 157/92, spetta esclusivamente ai corpi di polizia giudiziaria; il secondo, è che il recupero degli ungulati feriti con armi da caccia non può essere effettuato in giornate e orari vietati all’attività venatoria, poiché a essa equiparato.
Si tratta evidentemente di due settori primari della gestione faunistico-venatoria in Italia, considerata la diffusione e continua espansione, da un lato, degli ungulati e relative cacce selettive e, dall’altro, di specie opportuniste o invasive che arrecano danni alle attività agricolo-zootecniche e configurano impatti sulla salute umana.
Pur nell’inevitabile clima di irrequietudine, viste le potenziali implicazioni di natura penale per gli operatori in entrambi i casi, riterremmo di ringraziare la Corte per due molto semplici motivi: il primo e fondamentale, è l’aver indirettamente dimostrato l’arretratezza tecnico-giuridica della legge nazionale, vecchia di ben un quarto di secolo e ormai del tutto inadeguata ad affrontare con efficacia le problematiche gestionali sorte e sviluppatesi dal febbraio 1992 a oggi, che invece molte leggi regionali hanno gestito in modo concreto ed efficiente.
Il secondo, strettamente collegato, è che ora finalmente verranno messi a nudo tutti i limiti organizzativi e operativi dei corpi di polizia giudiziaria preposti alla gestione della fauna selvatica e alla vigilanza venatoria, ossia Polizie provinciali e Corpo Forestale dello Stato, entrambi smantellati tramite pseudo-riforme, guarda caso, partorite proprio da quel Governo che ha impugnato la legge regionale ligure. In tale panorama, solo le più sprovvedute o fanatiche e perciò stupide associazioni animaliste (e anche qualche associazione ambientalista, in verità…) possono gioire per tale sentenza.
Il motivo ne è chiaro: importa solo che i cacciatori non possano contribuire al controllo della fauna (attenzione, anche tramite trappolaggio incruento) o non possano recuperare i capi di ungulati feriti e poi pazienza se i cinghiali devastano le colture, se i corvidi proliferano e danneggiano per ogni dove, se caprioli e cervi impattano con le automobili, se il piano di sorveglianza nazionale del Ministero della Salute sulla West Nile Disease non potrà essere più attuato, se tutto ciò soprattutto rischia di non esser più fatto a costo zero per le amministrazioni e, quindi, per la collettività, visto che i cacciatori formati si sono sempre prestati a titolo volontario mentre gli agenti delle polizie giudiziarie, ove riuscissero, lo farebbero come mansione professionale, quindi stipendiati.
Il massimo a questo punto sarebbe una mirata modifica dell’antiquata legge 157 con la quale andassero totalmente in carico di tali giubilanti associazioni tutti gli oneri, reali e morali, che potrebbero derivare da questa decisione della Corte. Staremmo assai volentieri a guardare, non più chiamati in causa e attendendo in tutta tranquillità la stagione di caccia per levare il fucile dal classico chiodo. Purtroppo però, al di là delle facezie, affiora per l’ennesima volta la drammatica vetustà della legislazione statale, la cui necessaria, organica rivisitazione troppe volte in Parlamento è stata impedita da montagne di calunnie, strumentalizzazioni, incapacità o inutili baccani mediatici. Ne riparleremo allorché i cinghiali avranno conquistato il Campidoglio: e non manca molto…
Giugno 2017
ANUUMigratoristi Stampa