Scene dell'altro mondo davanti al comune di Piacenza. Urla, insulti e minacce degli animalisti, che manifestano con il cartellone "Piacenza sporca di sangue". Il sangue è quello di un cinghiale. Uguale a tutti gli altri cinghiali che vengono abbatttuti tutti i giorni in ogni parte d'Italia. Anzi no, questo aveva un nome: Agostino. L'abbattimento in realtà è solo il tragicomico epilogo di una vicenda che ha dell'incredibile. Il cinghiale da diversi giorni aveva occupato il Parco della Galleana, che era stato chiuso per le operazioni di cattura, trasformatesi poi d'abbattimento all'ennesimo fallimento della narcotizzazione.
Giorno dopo giorno Agostino è diventato una mascotte, la sua popolarità ha di fatto finito per mettere a nudo l'inconcludenza degli amministratori pubblici, incapaci di affrontare la situazione ma soprattutto incapaci di prendere una posizione coerente. Il sindaco aveva infatti promesso di non abbattere l'animale, evidentemente pensando, in questo modo, di strizzare l'occhio agli animalisti e creare consenso nella popolazione, già affezionata all'animale. Ed è stato questo il vero problema. Si è perso di vista il fatto che la specie in questione invade campi e centri urbani, che è dannosa e va regolata. E che affibiare nomi agli animali selvatici, al fine di umanizzarli, di fatto vanifica ogni sforzo di vera educazione ambientale della cittadinanza.
Dopo l'abbattimento, che pare si sia reso necessario quando il cinghiale, infuriato, ha tentato di caricare i narcotizzatori, sabato mattina un gruppo di animalisti ha manifestato in piazza indirizzando insulti irripetibili agli amministratori. La concitazione è stata tale che, paradossalmente, sono volate minacce di morte nei confronti di una donna del Comune (una ragazza sull'orlo dell'isteria ha ripetuto la frase "ti ammazzo!" più volte). Il tutto senza creare nessuna reazione di disappunto negli altri protestanti, che, ricordiamolo, erano lì per chiedere il rispetto della vita. La vita animale, evidentemente, per qualcuno vale di più di quella umana.