Un nuovo appello delle associazioni animaliste (stiamo parlando di Lipu, Enpa, Lav, Wwf, Italia Nostra, Lac e altre) al Presidente del Consiglio Gentiloni e anche direttamente alle associazioni venatorie nazionali, chiede, di nuovo, lo stop della caccia a causa della siccità e degli incendi.
Si usano, al solito, termini estremamente drammatici (“sarebbe un ecocidio”), per accalappiare l'attenzione di un'opinione pubblica disinformata, facendo credere che realmente la caccia settembrina possa determinare una situazione di sofferenza per la fauna. Anzitutto occorre ricordare, come già fatto in precedenza, che le specie cacciabili in preapertura sono per lo più uccelli (con la sola eccezione della Sicilia dove si caccerà il coniglio selvatico), dotati di ali, in grado di spostarsi alla ricerca di acqua e certamente capaci di evitare il fuoco. In secondo luogo, come tutti dovrebbero sapere, le zone percorse dal fuoco sono già oggetto di divieto per dieci anni, per ovvi motivi di ripristino degli equilibri ambientali e faunistici.
Altra considerazione, da non dimenticare, è che per le amministrazioni la preapertura è un'opportunità di incrementare la gestione di specie che definire problematiche è un eufemismo. Parliamo dei corvidi, in aumento e capaci di razzie delle più pregiate specie di piccola selvaggina, cacciabile e non (loro non fanno distinzione). Altra precisazione riguarda la modalità di caccia della preapertura: ovvero, per la stragrande maggioranza dei casi l'appostamento. Il che significa che nessuna delle altre specie può essere disturbata dalla presenza dei cacciatori.
Che l'attacco (mascherato da appello straziacuori) sia del tutto strumentale, e un tantino esasperato, è facilmente dimostrabile con i numeri. Anzitutto quelli degli incendi. Al di là dei toni sensazionalistici dei telegiornali, e fermo restando la gravità anche di un singolo episodio, specie se di natura dolosa, è bene ricordare che, con i dovuti distinguo tra annate particolarmente incendiarie come è quella del 2007 (che ha inciso comunque in minima parte sulle effettive aree silvo pastorali e agricole a disposizione di uccelli e mammiferi), la media dell'ultimo ventennio corrisponde a meno della metà del totale di incendi annui registrati dal 71 al 2001 (118 mila ettari contro gli odierni 50 mila). Eppure all'epoca, è risaputo, la fauna se la passava molto meglio di ora. E le specie cacciabili erano molto più numerose, certo anche a settembre. Il che vuol dire che, semplicemente, gli incendi stessi poco possono incidere sulla consistenza complessiva della fauna selvatica che interessa la caccia.
Altro dato eclatante è la ripetitività seriale di certi appelli, che cambiano a seconda dei periodi dell'anno (in inverno il pretesto è la neve o il freddo), indipendentemente dall'entità del problema, che mai è empiricamente dimostrata. Basta fare una ricerca su google per trovare i medesimi appelli, identici nei contenuti, annata per annata. Notizia per gli animalisti: in inverno fa freddo, in estate piove molto poco. Gli animali da milioni di anni sono adattati a superare queste calamità.