La Toscana certo non fa eccezione rispetto al calo progressivo dei cacciatori. Una tendenza dovuta all'età media piuttosto elevata e alle mutate condizioni sociali e ambientali. Ma, come giustamente fa notare una nota ufficiale della Regione in queste ore, comunque, la Toscana rimane la regione in Italia con il più alto numero di cacciatori, prima (o forse al massimo seconda) anche come densità in rapporto alla popolazione. In questo caso se la gioca con l'Umbria. Nel 1995, pur già in calo, erano quasi 150 mila le doppiette in Toscana. Oggi si fermano a 75 mila, contro i 78 mila della scorsa annata venatoria.
Una considerazione sul calo generalizzato in Italia è d'obbligo: data la riduzione consistente e dato l'aumento fino almeno al 30% del territorio delle aree dove è proibito cacciare, si può certamente affermare che la caccia non può essere individuata come un problema. Il problema, invece, come dimostrano le cronache, è che ci sono pochi cacciatori e troppa selvaggina, per cui una saggia politica nazionale dovrebbe invece impegnarsi a promuovere l'interesse per la caccia. Soprattutto fra le giovani generazioni. Proprio per rispondere a un bisogno sociale.
In tutta Italia i cacciatori rimangono una comunità ancora importante e diffusa in modo capillare in tutti i comuni. Una forza sul campo utile per vigilare sull'ambiente (protezione da incendi e da altre calamità), che contribuisce al mantenimento delle aree boschive, altrimenti degradate, e che organizza molteplici azioni di ripristino ambientale. I cacciatori sono poi una fonte diretta di finanziamento. Come evidenzia la Regione Toscana nella sua nota. Dalle tasse di concessione e dalle iscrizioni agli Atc (25 mila cacciatori ne scelgono almeno due, il che significa 150 euro di entroiti in più per le casse pubbliche). Ma la più importante azione è quella di contenimento della fauna problematica: cinghiali e altri ungulati, corvidi, volpi, ecc. Ecco perchè la caccia è un servizio alla collettività.
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