Pare alquanto singolare che, in questa situazione, a protestare siano gli anticaccia e non i cacciatori piemontesi. Ma è proprio così. Giovedì 23 novembre alcuni gruppi animalisti si sono dati appuntamento davanti al palazzo della Regione per esternare tutta la loro indignazione contro l'apertura anticipata della caccia rispetto alla data prevista precedentemente dalla Regione (30 novembre).
Riapertura che riguarda, badate bene, solo alcuni territori non toccati dagli incendi. Anzi a dire il vero molte altre zone non percorsi dal fuoco rimangono chiusi alle doppiette per volere della Regione, contro il parere degli Atc e dei Comprensori Alpini, che evidentemente non vedono in questo provvedimento alcuna valida ragione che non sia un altro pretesto per mettere i bastoni tra le ruote ai cacciatori. La legge infatti prevede che la caccia si chiuda nelle aree incendiate. Provvedimento regionale o non. E non per una stagione, ma per dieci lunghi anni, a ovvia e giusta tutela del bosco e dei suoi abitanti. Le associazioni chiedevano la sospensione della caccia su tutto il territorio regionale e per tutta la stagione venatoria, ecco il motivo del presidio.
La caccia dunque resta chiusa nei territori di 19 comuni in provincia di Torino e in 3 aree in provincia di Cuneo fino alla fine della stagione venatoria. "È una storia bella e buona, anzi, una scusa, quella del ripopolamento della fauna. È infatti da ben 17 anni che sul territorio sono state create delle oasi di protezione delle fauna selvatica, proprio per favorirne il ripopolamento" commenta sul quotidiano La Sentinella del Canavese - Guiscardo Gibellini, presidente dei Comprensori Alpini To4 e To5. Gli fa eco il suo vice Giuseppe Pusceddu: "Quella della Regione non è altro che una scelta politica fatta per compiacere quanti hanno in odio la caccia, a partire dagli ambientalisti. E pensare che l’esercizio venatorio rappresenta anche un’attività di gestione ambientale". Quando i dirigenti regionali se ne renderanno conto forse sarà troppo tardi.