E' stata appena pubblicata la sentenza del Tar del Piemonte che ha accolto in parte le ragioni della Federcaccia regionale contro la riforma degli Atc approvata nel 2016, ovvero la delibera "Razionalizzazione dei Comitati di gestione degli Ambiti Territoriali di Caccia (ATC) e dei Comprensori Alpini (CA)". Volge quindi al termine la diatriba che si protrae da almeno un anno. Il ricorso si opponeva a tre aspetti: l'accorpamento degli Atc e di alcuni comprensori alpini, i nuovi meccanismi di rappresentativita' per le nomine negli Atc e la disposizione che ha introdotto il divieto di nomina per le associazioni venatorie di rappresentanti che abbiano interessi anche nelle altre categorie rappresentate.
Il Tar ha accolto solo in parte i motivi del ricorso, riconoscendo in primis l'illegittimità della disposizione che prevedeva un solo componente per ciascuna delle associazioni venatorie maggiormente rappresentate, indipendentemente dalla percentuale dei suoi iscritti ammessi nel rispettivo Ambito, con la sola eccezione dell’associazione che raggiunge o supera il 68% di rappresentatività all’interno del singolo ATC o CA, alla quale spetta di designare due rappresentanti. Fidc ha documentato che nella gran parte dei comitati di gestione nominati dagli enti resistenti, essa ha conseguito un solo seggio, pur avendo invariabilmente una percentuale di rappresentatività superiore al 50% all’interno del singolo ATC o CA, con la conseguenza di essere posta in una condizione numericamente minoritaria rispetto alle altre due associazioni venatorie rappresentate nel comitato, le quali neppure coalizzandosi raggiungerebbero la percentuale di rappresentatività della ricorrente, ma che nondimeno conseguono la maggioranza numerica dei seggi di categoria. “Il “correttivo pluralistico” - scrive il Tar - non sembra più rispondere a criteri di ragionevolezza laddove produca l’effetto di vanificare del tutto il principio di rappresentatività, attribuendo lo stesso peso rappresentativo a tutte le associazioni di categoria anche nel caso in cui una di queste abbia una rappresentatività, non solo preponderante rispetto alle altre, ma superiore al 50% della categoria rappresentata; con l’ulteriore effetto, altrettanto irragionevole, di invertire i rapporti di forza all’interno della categoria rappresentata, ponendo l’associazione dotata di rappresentatività maggioritaria in una condizione addirittura deteriore rispetto a quelle minoritarie, attribuendo alla prima un numero di seggi inferiore alla somma di quelli assegnati alle seconde, e in tal modo esponendola al rischio concreto di essere posta in minoranza sulle singole questioni da deliberare, a tutto discapito degli interessi tutelati dall’associazione maggioritaria, associabili alla maggioranza numerica dei cacciatori iscritti al singolo ATC o CA “.
Sono invece infondati gli altri due motivi di censura. Non è quindi illegittima per il Tar la disposizione che vieta la designazione di rappresentanti del mondo venatorio che esercitano attività ricadenti in altre categorie. Appare anzi norma ragionevolmente diretta a prevenire situazioni di conflitto di interessi e a contrastare il fenomeno, diffuso in ambito regionale di sovrarappresentazione dei cacciatori all’interno dei comitati di gestione. “La ratio della previsione - argomentano i giudici - è quella evitare che il perseguimento degli interessi primari della categoria di appartenenza possa essere compromesso o comunque influenzato da interessi personali o professionali del soggetto designato a rappresentarla".
Per il Tar infine è l’accorpamento dei comitati di gestione dei vari ATC e CA, è lecito. L’accorpamento dei comitati di gestione – scrive il Tar - non ha inciso né sui limiti territoriali dei vari ATC e CA, che sono rimasti invariati, né sugli adempimenti previsti a carico dei singoli ATC e CA dalle vigenti disposizioni attuative regionali. “Per dirla in breve – scrivono i giudici -: non sono stati accorpati i territori dei vari ATC e CA, ma solo tagliate alcune poltrone nei comitati di gestione, per ragionevoli esigenze di contenimento della spesa pubblica e in attuazione di un’esplicita previsione di legge regionale”. Respinta anche l'eccezione di illegittimità costituzionale. |