A soffrire maggiormente dei repentini cambiamenti climatici, dovuti alle immissioni nocive nell'aria da parte dell'uomo, si sa, sono gli animali più specializzati e più legati ad habitat e climi particolari. Come lo è la pernice bianca, oggetto di un recente convegno della Lipu. In Europa, in particolare sulle Alpi, è stato ricordato, la specie è sempre più vulnerabile grazie alla continua contrazione del suo areale. In sostanza a causa dell'aumento delle temperature si sta spostando ad altitudini sempre maggiori, il che sta causando una frammentazione delle popolazioni e quindi un inesorabile declino.
Altri fattori di disturbo citate nel corso del dibattito sono il ritardo nella data di innevamento, che causa problemi di mimetismo; l’innalzamento della temperatura al di sopra del range ideale per la specie; lo stress arrecato dalle attività di outdoor (sci alpinismo, sci fuori pista, impianti di risalita, mountain-bike, eliski) e dulcis in fundo l’impatto venatorio che, nonostante lo status sfavorevole della specie, continua a persistere in gran parte dei distretti alpini. Dunque che fare? Dilemma risolto. La tavola rotonda che ha concluso l'incontro, secondo quanto riferisce Lipu, avrebbe individuato nella chiusura della caccia una possibile azione a supporto di una specie ormai fortemente minacciata.
Dunque la montagna Lipu ha partorito il solito topolino. Come al solito, rispetto ai grossi problemi da affrontare in maniera decisa e sistemica, l'unica strategia architettata da questi illustri ambientalisti è eliminare la caccia, comunque già contingentata nella entità dei prelievi e sul territorio. Nulla da dire sulle altre attività antropiche, di massa ormai, che disturbano concretamente la specie?