In un convegno di lunedì 28 maggio organizzato a San Casciano nel biodistretto del Chianti, le circa 50 aziende specializzate nella produzione del Chianti bio, hanno ribadito il loro no alla Legge Obiettivo sugli ungulati. Abbattimenti insufficienti, soprattutto di caprioli, rendono impossibile la coltivazione di vigne di pregio, a causa di ingenti danni alla produzione.
A tal proposito è intervenuto Federico Morimando, zoologo esperto di gestione faunistica. "Ormai l'analisi dei fenomeni è abbastanza chiara - ha detto- La nostra regione sta sopportando un carico di ungulati insostenibile, concentrato in particolar modo nelle province di Siena, Arezzo e Firenze". Da qui, l'analisi delle possibili soluzioni: "Può esserlo la caccia? Rispondo... nì. I dati parlano chiaro anche in questo caso: a riduzioni di popolazioni non corrispondono riduzioni del danno in agricoltura. Gli animali si spostano, sanno dove andare per proteggersi dalla pressione venatoria: basti pensare che in Toscana ci sono 230mila ettari di aree protette".
Il problema sono i tempi della caccia secondo Morimando. "Va bene la caccia ricreativa, sociale. Ma se si vogliono tutelare le colture bisogna studiare una caccia diversa, che elimini gli animali nel momento in cui creano il danno. E' quindi palese che chiudere la caccia al capriolo a metà marzo, quando inizia la fase di vita della vite e iniziano i veri danni, è un controsenso. Insomma, dobbiamo adattare i nostri strumenti a un fenomeno flessibile come solo la natura sa esserlo".
Giovanni Manetti, viticoltore a Panzano in Chianti, fra i primi esponenti dell'agricoltura biologica chiantigiana, vicepresidente del Consorzio Vino Chianti Classico, ha portato il punto di vista dei coltivatori. "Dobbiamo mettere mano tutti insieme a un problema ormai allo stadio finale. Così non si può più andare avanti: 400mila ungulati (calcolati per difetto) in Toscana, con percentuali di presenza quadruple rispetto ad altre regioni. Il 40% di tutti i caprioli italiani sono in Toscana, con percentuali folli nelle province di Firenze e Siena; il 30% dei cinghiali italiani è in Toscana. Non serve altro a descrivere quello che stiamo vivendo".
"Lo sforzo della Regione Toscana - ha riconosciuto Manetti - era stato apprezzabile. Purtroppo però la situazione è rimasta la stessa. Siamo di fronte a 9mila cinghiali abbattuti in meno fra 2017 e 2016, piani di abbattimento del capriolo applicati solo al 50%. Ed è il capriolo la vera emergenza, poiché dà continuità al danno; per me ormai è una sorta di socio occulto, visto che mangia il 10-20% del fatturato. Le forme previste non sono sufficienti: serve l'abbattimento in vigna".
"Vanno coinvolti gli agricoltori - ha concluso Manetti - che sanno tutto dei loro terreni e degli animai che, ormai, vi "pascolano". Nel mio poi c'è il paradosso di avere 20-30 caprioli rimasti dentro le recinzioni, perché ormai ognuno di noi è costretto a farle, e non posso neanche toccarli. I risarcimenti? Mai preso un euro: non ci sono soldi che possano ripagarci dell'uva (e del vino) che non riusciamo a produrre".
Per la Regione Toscana c'era Vito Mazzarone, secondo cui la situazione è critica anche per il calo dei cacciatori. “A breve mancheranno coloro che possono far diventare pratica la teoria delle quote fissate. Anche perché, ha evidenziato Mazzarone, già oggi c'è difficoltà in questo senso: "Basta vedere i dati del 2017 per quanto riguarda le province di Firenze, Prato e Siena: a fronte di oltre 20mila capi autorizzati per l'abbattimento, ne sono stati abbattuti poco meno di 11mila".
Su quelle che possono essere le soluzioni al problema, Mazzarone ha concordato sul fatto che "fare pressione sugli animali nel momento in cui entrano nelle colture può essere una delle opzioni. Così come aumentare le possibilità di caccia, cosa che la Regione ha fatto. Ma anche investire sulla filiera della gestione delle carni: anche qui i primi passi sono stati fatti, ma serve andare avanti".
Ci sono, ha rivelato, 15 milioni di porzioni di carne (di capriolo e cinghiale) prodotti "in potenza" in Toscana. Carni che prendono per la maggior parte (solo 7mila capi su oltre 200mila sono passati da centri allestiti dalla Regione) vie traverse: "Bisogna scommettere sul mercato della carne - ha concluso Mazzarone - anche dal punto di vista economico".
"Vi spiego l'iter tipico per una braccata al cinghiale richiesta da un agricoltore - ha detto prendendo la parola Roberto Vivarelli, presidente Atc Siena Nord - Servono sei passaggi, se va bene dagli 8 ai 10 giorni. E alla fine non si sa neanche se e quando la richiesta è stata accettata".
"Nel 2017 - ha continuato - abbiamo documentato 8.901 quintali di uve danneggiate. Il 36% da caprioli, con tendenza in aumento. Il capriolo è il vero problema: sul cinghiale qualche piccolo passo avanti è stato fatto, ma sul capriolo siamo piantati. Anche a cause delle rigidità di Ispra, che sul tema sposa la linea conservativa. E noi invece siamo, fra Atc Siena Nord e Sud, a oltre 1 milione e 300mila euro di danni documentati nel 2017! Con i soldi in cassa ma fermi nelle elargizioni perché, a fronte delle nostre denunce pubbliche, ci vengono richiesti tutti i nomi delle aziende, e in auto tutela fino a che l'iter non è chiuso non possiamo risarcire".
"Sul capriolo - ha concluso - serve uno sforzo politico della Regione Toscana, alla quale riconosciamo, e in particolare all'assessore Remaschi, che sul tema ci ha messo la faccia. Deve andare contro la rigidità di Ispra e permettere azioni più incisive sui caprioli: anche i sindaci devono fare la loro parte, sostenendo la Regione in questa battaglia".
Secondo Franco Ferroni, il rappresentante di Wwf, "Si fa sparare in luoghi sbagliati e in modi sbagliati - ha concluso - per questo non arrivano i risultati. Serve una revisione profonda e, lo ripeto, un coinvolgimento diretto degli agricoltori. Che sono la parte colpita dal problema ma che la Regione Toscana ha messo ai margini". (Gazzettinodelchianti.it)