Il Corriere della Sera ha in questi giorni pubblicato una lettera di Bruno Modugno indirizzata all'autorevole editorialista Sergio Romano, in merito alle ragioni della caccia, considerata da un lettore solo uno sport.
“La caccia – dice Modugno – da parecchio tempo non lo è più". Si tratta invece "di un'attività per la gestione di quel patrimonio comune che è la fauna selvatica”. Modugno contesta inoltre il confronto che viene fatto fra caccia e macellazione. “Dietro l'uccisione di un bove non c'è altro che un cruento atto materiale, banale e quotidiano, che trasforma una creatura in filetti, fese e coda alla vaccinara. Nell'abbattimento di un cinghiale – spiega Modugno – c'è invece un universo di cultura che va dai concerti per corni di Haydn e Rossini alle pagine di Tolstoj, dalle pitture rupestri dei nostri antenati cavernicoli agli arazzi Gobelin e ai quadri del Domenichino”.
C'è anche un aspetto più religioso: “l'invocazione 'Viva Maria!' echeggia in Maremma ogni volta che i cacciatori abbattono un cinghiale” dice Modugno, citando poi la tradizionale messa di San Uberto, aperta anche a cani e fucili, oltre che le usanze pagane per esempio del rito germanico del Waidmannsheil, una sorta di richiesta di perdono all'animale sacrificale che si trasforma per un attimo in divinità silvana. “Questa è la differenza” tra la caccia e un qualunque sport secondo Modugno. Sottoscriviamo.