Senza nulla togliere al dovuto impegno verso una caccia sempre più rispettosa dell'ambiente, che i cacciatori sono i primi a portare avanti, occorre sottolineare la sproporzione esistente tra le forze messe in gioco contro la caccia e quelle, esigue, contro le gravi emergenze ambientali, come è quella relativa ai limiti altissimi sulla contaminazione da idrocarburi dei fanghi da sversare in agricoltura. Si assiste infatti ad un incredibile silenzio da parte di gran parte dell'apparato ambientalista sulla vicenda. Qualcosa di gravissimo, soprattutto perché ora, che è proprio un decreto governativo a mettere in pericolo la vita animale e vegetale, ma soprattutto la salute umana, ci aspetteremmo appelli e petizioni al Presidente della Repubblica e megafoni accesi a richiamare l'attenzione dell'Europa, con tanto di minacce di denunce e richiami quotidiani alle possibili sanzioni. E invece nulla.
Mentre si susseguono ricorsi al Tar sistematici e spesso pretestuosi contro la caccia (le ultime decisioni riguardano il divieto di caccia nelle aree contigue del Pnalm, come da parere Ispra, in Lazio e la sospensione della caccia nelle aree Natura 2000 nelle Marche, nonché il divieto per il momento, di andare a caccia nei giorni previsti in calendario a febbraio), nessuno - o quasi - sembra accorgersi realmente delle gravissime implicazioni ambientali del problema, che coinvolge la produzione industriale di mezzo Paese e arriva, purtroppo, fino al cittadino, ignaro consumatore di schifezze legalizzate (!).
Che conseguenze avranno questi fanghi sulla salute degli uccelli che già sono costretti ad abbandonare gli ambienti agricoli perché non vi si trovano più insetti? Quali sono le implicazioni ambientali dell'inevitabile contaminazione delle falde acquifere e dunque dell'acqua che arriva addirittura nelle nostre case? Nessuno ce lo dirà.
Dove sono Wwf, Enpa, Lipu e compagnia bella? Cosa dicono su queste gravissime conseguenze per la flora e la fauna in primis? Nulla, a quanto pare. Provate a fare una ricerca su google. Vi accorgerete che stanno facendo comunicati sulla caccia, come se si trattasse della più temibile delle calamità naturali, esultando per le risibili vittorie al Tar (siamo comunque nelle fasi preliminari alla trattazione dei ricorsi), sugli stock ittici permessi, sull'esigenza, da loro sentitissima, di aggiungere aree protette a quelle già esistenti, nonostante la palese incapacità di amministrare quelle che esistono.
Se tanto si sono adoperate affinché si eliminassero, per esempio, le munizioni di piombo nelle aree natura 2000, asserendo con determinazione che il piombo disperso è un grave pericolo per l'intera catena alimentare, perché non sono altrettanto solerti nel denunciare una situazione nemmeno lontanamente paragonabile a quella dell'esigua percentuale di piombo messa in circolo dalla caccia?
Stiamo ai fatti. Secondo la stessa Ispra, che suggerisce il divieto totale del piombo nelle munizioni, la maggiore esposizione al piombo della popolazione è dovuta agli alimenti più consumati più frequentemente come cereali, latticini, verdura e acqua potabile. Anche qui dunque la caccia è l'ultimo dei problemi e, di nuovo, la responsabilità è di un'agricoltura evidentemente non sostenibile. Ora si apre la strada anche all'avvelenamento dei campi con fanghi che contengono una quantità di idrocarburi addirittura doppia rispetto a quelli di una discarica e venti volte superiore a quanto la legge consente nei terreni industriali sottoposti a bonifica. E a dirlo, purtroppo, è stata solo Slow Food, una delle poche voci fuori dal coro.
Redazione BigHunter.it