La Corte Costituzionale, con sentenza depositata venerdì 16 novembre, ha dichiarato l'incostituzionalità parziale della legge 19 del 17 luglio 2017 (Gestione faunistica-venatoria del cinghiale e recupero degli ungulati feriti) della Regione Lombardia, nella parte in cui si riferisce anche alle aree protette nazionali. In sostanza, secondo la suprema Corte la Regione non può deliberare le modalità gestionali del cinghiale, comprese tempistiche e attuazione del prelievo venatorio, includendo i territori delle aree protette.
Di contro però, è stata ritenuta perfettamente legittima la parte in cui la Regione dispone, per le aree protette regionali, l'individuazione delle densità obbiettivo della specie (e conseguenti abbattimenti) in assenza di regolamento adottato dall’Ente parco. “Nessun Ente Parco della Lombardia – si è difesa la Regione - è dotato di regolamento nonostante siano trascorsi più di trent’anni dall’entrata in vigore della legge quadro regionale”.
Di qui l'esigenza di “definire una strategia di riferimento per perseguire un comune obiettivo di tutela degli equilibri ambientali, raggiungibile esclusivamente attraverso una gestione unitaria del territorio. Le densità obbiettivo secondo la legge dovrebbero essere perseguite in piena autonomia dai singoli enti gestori, avvalendosi del personale da essi individuato e delle metodologie di intervento da esse ritenute adeguate e percorribili.
"L’art. 22, comma 6, della legge n. 394 del 1991 – al riguardo richiamato come norma interposta dal ricorrente (si legge nella sentenza, ndr) – prevede, infatti, che «nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali regionali, […] eventuali prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi necessari per ricomporre squilibri ecologici […] devono avvenire in conformità al regolamento del parco» ovvero, appunto, «qualora [questo] non esista», in conformità «alle direttive regionali per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell’organismo di gestione del parco".