Riportiamo interamente le precisazioni dell'ufficio legale di Arci Caccia, dopo la richiesta di chiarimenti sul comunicato di ieri relativo ad una sentenza della Cassazione sulla caccia agli acquatici:
In merito al nostro comunicato, pubblicato ieri, relativo alla sentenza della Corte di Cassazione sulla caccia agli acquatici, sono pervenute alla nostra redazione richieste di chiarimenti. Pubblichiamo quindi di seguito, a maggior precisazione, le considerazioni espresse dal nostro ufficio legale:
Breve nota alla sentenza CORTE DI CASSAZIONE, Sezione Penale Terza n.44279 del 30.10. 2019.
La sentenza in esame si occupa di una fattispecie per la quale era stata emessa condanna dell’esercitante la caccia per violazione della legge 11 febbraio 1992, n. 157, Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio,
art. 30, Sanzioni penali, comma 1 lettera i, il quale recita:
1. Per le violazioni delle disposizioni della presente legge e delle leggi regionali si applicano le seguenti sanzioni:
a(omissis)
i) l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a lire 4.000.000 (euro 2.065) per chi esercita la caccia sparando da autoveicoli, da natanti o da aeromobili;
….(omissis).
Il caso concerneva un cacciatore veneziano sorpreso su di un natante mentre imbracciava un fucile carico. In primo grado era stato condannato ad € 500,00 di ammenda e confisca dell’arma.
La Suprema Corte annullava la sentenza del Tribunale di Venezia affermando il seguente principio di diritto:
“La configurabilità del reato di cui all’art. 30, co 1, lett. 1) legge n. 157/1992, è esclusa nel caso di chi esercita dal natante (o autoveicolo o aeromobile) una qualunque delle operazioni in cui si sostanzia l’attività di caccia (spostamento sul luogo di caccia, recupero della selvaggina in acqua), integrando gli estremi del reato in esame solo la condotta di chi dal natante compie quell’atto centrale della caccia che è lo sparo contro la selvaggina, in mancanza del quale non può ritenersi integrato il reato. Sicché, il reato deve escludersi, anche, nei confronti di chi utilizza il mezzo di trasporto per lo spostamento nei luoghi di esercizio venatorio o per il recupero della preda anche in zone impervie, essendo irrilevante l’uccisione di animali, in quanto l’abbattimento e l’impossessamento di specie cacciabili non costituiscono elementi costitutivi della fattispecie”
La Suprema Corte con ciò ribadisce precedenti sentenze già emesse in passato per casi analoghi.
In particolare viene citata Cass. Pen. Sez. 3, 17 marzo 2004 n. 22785, che ha ribadito che il reato deve escludersi nei confronti di “chi utilizza il mezzo di trasporto per lo spostamento nei luoghi di esercizio venatorio o per il recupero della preda”, dovendosi ritenere integrata la relativa fattispecie incriminatrice nella condotta di “chi compie dal natante l’atto tipico della caccia, rappresentato dallo sparo contro la selvaggina, in ciò agevolato dal mezzo di trasporto, sia per l’appostamento, sia per il raggiungimento della preda anche in zone impervie, essendo irrilevante l’uccisione di animali, in quanto l’abbattimento e l’impossessamento di specie cacciabili non costituiscono elementi costitutivi della fattispecie”.
Leggendo la motivazione della sentenza si evince che:
illecita è solo l’attività (definita centrale o tipica della caccia) dello sparo da natante o da autovettura;
lecito invece è l’utilizzo del natante o dell’autoveicolo per lo spostamento sul luogo di caccia anche per recuperare e uccidere la selvaggina, già attinta dai regolari colpi iniziali, in zone impervie o in acqua.
lecito in quanto consentito dall’art. 25 della legge Regione Veneto 5 gennaio 2007 n. 1 l’uso della barca per il recupero della fauna selvatica ferita o abbattuta.
lecita appare anche l’attività di soppressione e recupero della selvaggina ferita in quanto attività non centrale o tipica, ma complementare all’attività di caccia.
CONSIDERAZIONI.
L’interprete può facilmente constatare, che tutto ruota sulla classificazione di cosa costituisce atto centrale o tipico della caccia.
Pertanto dal punto di vista pratico, occorre precisare che la situazione di adoperare un natante o un autoveicolo portando il fucile carico anche solo per l’attività di soppressione della selvaggina già ferita, può prestarsi ad interpretazioni ambigue da parte degli esercenti la sorveglianza venatoria.
Per cui sarà buona norma evitare per quanto possibile di sparare dal natante, cercando di recuperare la preda in acqua e scendere dall’autoveicolo prima di esplodere il colpo per la soppressione del capo già attinto. Non sia mai che tale atto venga interpretato come atto centrale o tipico della caccia.
Non bisogna dimenticare che l’essere coinvolti in un processo è già una pena, anche se poi si viene assolti.
Per cui occorre porre la massima attenzione a non trovarsi in situazioni ambigue, con lo sparo esploso un istante prima, la preda morta e recuperata e a bordo dell’autovettura o del natante.
In una situazione del genere si può creare un’inversione dell’onere della prova e il cacciatore si troverà nella scomoda posizione di dover giustificare davanti al Tribunale che non stava compiendo un atto tipico o centrale della caccia ma solo una attività complementare (!!)
E’ da tener presente che sussiste anche una pronuncia della Cassazione di segno contrario alle precedenti citate (Sezione del 15 ottobre 2008, n. 42888, Zecchin, Rv. 241647, secondo la quale “integra il reato di “esercizio della caccia sparando da autoveicoli, da natanti o da aeromobili”, previsto dall’art. 30, comma primo, lett. i), L. 11 febbraio 1992, n. 157, la condotta di chi si apposti in attesa di sparare la selvaggina avvistata, non occorrendo l’esplosione di colpi di arma da fuoco”.
Quindi ARCI Caccia raccomanda la massima correttezza e prudenza nell’operare l’attività venatoria, rispettando accuratamente la legge e l’interpretazione della Suprema Corte, senza forzature.