Il Rapporto Ispra 2009 sulle specie cacciabili ci informa che a livello globale la specie cinghiale è inserita nella lista rossa di IUCN nella categoria delle specie a basso rischio di estinzione. Per quanto riguarda la situazione italiana, come ben tutti sappiamo il cinghiale è l'ungulato più diffuso sul territorio sia in termini distributivi che di consistenza.
La specie – dice il Rapporto - è presente, senza soluzione di continuità, dalla Liguria, attraverso gli Appennini, sino alla Calabria, ad eccezione delle province pugliesi di Brindisi e Lecce, e in tutta la Sardegna. In Sicilia la presenza della specie, frutto di recenti immissioni, non è ancora del tutto consolidata. Nel settore alpino e prealpino la specie si distribuisce in maniera continua nel settore occidentale mentre nella porzione centrale ed orientale presenta ancora un areale discontinuo e ripartito in unità territoriali relativamente piccole.
Nel 2005 – indica il rapporto Ispra - la stima approssimativa della consistenza della popolazione italiana era di almeno 600.000 individui; tale valore è, in ogni caso, da ritenersi indicativo, dal momento che dati sulla consistenza delle popolazioni sono del tutto carenti.
E’ tuttavia evidente - precisa il Rapporto - che negli ultimi trent’anni l’areale della specie si è più che quintuplicato e che essa mostra una capacità di veloce colonizzazione di nuovi territori. Un simile trend è in certa misura ipotizzabile anche per quanto concerne la consistenza complessiva della popolazione.
Il prelievo del cinghiale avviene in tutte le province in cui è presente, attraverso la normale attività venatoria e piani di controllo delle popolaizoni. Un notevole incremento del carniere nazionale si è verificato in particolare a partire dalla stagione 2004 – 2005 (con 114.831 capi abbattuti, 93.045 quelli della stagione 1999 - 2000)
Uno dei problemi più rilevanti connessi alla gestione della specie è la carenza di informazioni relative alla consistenza e dinamica delle popolazioni. Tale circostanza è favorita dalla modalità di gestione venatoria della specie che nella maggior parte dei casi non si basa su piani di abbattimento quantitativi e qualitativi, frutto di stime annuali (come per gli altri Ungulati), né, in generale, su una programmazione degli interventi.
La specie secondo l'Ispra, è dunque al centro di interessi contrastanti che da un lato tendono a favorirne la presenza, dall’altro ad escluderla dalle aree agricole più sensibili al danneggiamento, per il cui risarcimento vengono erogate dalle Amministrazioni ingenti somme di denaro.
La strategia gestionale suggerita dall’INFS (oggi ISPRA) con le già citate linee guida, e basata sulla definizione di densità obiettivo differenziate per tipologie di uso agricolo del territorio, sulla stima quantitativa delle popolazioni e degli incrementi annuali previsti e sull’adozione di tecniche di prelievo differenziate e complementari, non è stata di fatto applicata dagli enti gestori.
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