Oltre alla legge regionale della Liguria, come abbiamo già visto, il Consiglio dei Ministri in data 22 luglio ha impugnato anche la legge della Lombardia numero 13 del 9 giugno 2020, che modifica, tra le altre cose, anche la normativa sulla caccia. Secondo il Governo la legge contrasta con la Costituzione, in quanto alcune disposizioni si porrebbero in contrasto con la competenza esclusiva statale in materia ambientale.
Le obiezioni avanzate dal Governo sulla legge nello specifico, in estrema sintesi sono le seguenti:
Impugnato l’articolo 8 comma 1, lettera e che ha introdotto per la Regione la possibilità di definire per legge i limiti di carniere all’avifauna migratoria, in assenza, per altro di parere obbligatorio dell’Ispra previsto dalla legge quadro.
No anche all’art. 8, comma 1, lettera f), ovvero la norma che ha previsto nuovi termini per i rinnovi degli appostamenti fissi dopo la scadenza, con possibilità di subentro di altre persone rispetto al titolare. Secondo il Governo la modifica normativa introdotta è illegittima sotto il profilo della legittimità costituzionale, in quanto viola i principi generali del diritto amministrativo, snaturando i criteri normativamente sanciti di durata, rinnovo, scadenza e decadenza del provvedimento amministrativo al solo scopo di eludere il disposto della legge quadro nazionale (n. 157 del 1992) che dispone la temporaneità dell’appostamento fisso, imponendone la rimozione indefettibile alla scadenza dell’autorizzazione, in assenza di rinnovo tempestivo (è noto, infatti, che il rinnovo deve essere chiesto prima della scadenza) o di subentro tempestivo.
Impugnato anche l’art. 8, comma 1, lett. i) con il quale è stato stabilito che ogni cacciatore ha diritto di essere socio dell’ambito territoriale di caccia o del comprensorio alpino di caccia in cui ha la residenza anagrafica e che prevede che ogni cacciatore residente in Regione Lombardia possa essere socio di altri ambiti o comprensori alpini di caccia della regione, oltre a quello di residenza, previa accettazione della domanda. Secondo l’impugnativa tale modifica trasforma la caccia programmata in caccia libera, legittimando il nomadismo venatorio e violando i principi della legge quadro nazionale che impongono la programmazione della densità venatoria e l’ancoraggio del cacciatore al territorio di residenza, fatte salve puntuali eccezioni (ammissioni del cacciatore anche ad un altro ambito di caccia oltre a quello della residenza) soggette a valutazione dipendente essenzialmente dallo stato della fauna selvatica e dalla densità dell’ambito.
Contestato anche l’art. 8, comma 1, lett. che ha stabilito periodi per la caccia di selezione agli ungulati, ovvero camoscio, cervo e muflone: dal 1° agosto al 31 dicembre; capriolo: dal 1° giugno sino alla seconda domenica di dicembre in zona Alpi; dal 1° giugno al 30 settembre e dal 1° gennaio al 15 marzo al di fuori della zona Alpi; cinghiale: tutto l’anno. “La norma in questione, nell’introdurre periodi di caccia di selezione agli ungulati – scrive il Governo - , risulta in contrasto con l’art. 18 (Specie cacciabili e periodi di attività venatoria) della legge n. 157 del 1992. "Siffatto parametro interposto statale -scrive il Governo nella sua impugnativa - stabilisce al comma 1, lettera c), che capriolo, cervo, muflone e camoscio possono essere cacciati in via generale dall’ 1 ottobre al 30 novembre, salvo modifiche indicate al comma 2, le quali specificano che la caccia di selezione agli ungulati, come le specie in questione, può iniziare dall’ 1 agosto, ma rispettando l’arco temporale del comma 1, ossia 60 giorni”.
Oltre al profilo di incostituzionalità, il Governo evidenzia la possibilità che la caccia al cinghiale tutto l’anno aumenterebbe i rischi per la sicurezza pubblica, posto che aumentare il periodo di caccia agli ungulati significa aumentare le probabilità di incidenti essendo, secondo la letteratura in argomento, proprio questo tipo di caccia la causa dei maggiori e più gravi incidenti, con morti e feriti, territorio nazionale.
Per le stesse motivazioni sopraesposte, scrive ancora il Consiglio dei Ministri, va censurato il disposto di cui alla lettera n), del comma 1, dell’art. 8 della l.r. 13/2020, recante la disciplina di specie (beccaccia), tempi e modi di caccia in contrasto con i parametri statali interposti dianzi citati.
Censurata anche la norma, contenuta nell’articolo 8, comma 1, lett. p) che consente l’uso di dispositivi per la visione notturna per la caccia di selezione al cinghiale, in aperto contrasto, secondo il governo con la legge 157/92, che stabilisce espressamente, che “Sono vietati tutte le armi e tutti i mezzi per l’esercizio venatorio non esplicitamente ammessi dal presente articolo,” tra i quali non sono ricompresi i dispositivi per la visione notturna di cui alla norma regionale che si contesta, il cui utilizzo risulta, altresì, penalmente sanzionato ai sensi del successivo art. 30 primo comma-lett. h), della stessa legge n. 157 del 1992.