In un comunicato Confagricoltura Calabria torna sul problema dell'emergenza cinghiali, evidenziando che i risultati ottenuti con la Regione non sono sufficienti ma sono tutto ciò che è possibile ottenere fino a quando la normativa nazionale non sarà modificata.
"Per questo risultato – in collaborazione con la Regione – Confagricoltura sta lavorando quotidianamente. A quadro normativo immutato spingersi oltre – cosi come è accaduto in altre regioni – significa però andare incontro ad una impugnativa del Governo e ad una certa dichiarazione di incostituzionalità" precisa l'associazione agricola.
Continua la nota: "Negli ultimi giorni, sull’onda di commenti affrettati in ordine ad una sentenza della Corte Costituzionale (n°. 160/2020 ) scaturita da un procedimento che aveva come protagonista la Regione Marche, in molti hanno interpretato in maniera estensiva la decisione arrivando ad affermare che tutti gli agricoltori muniti di un regolare permesso di caccia potrebbero abbattere, sui loro terreni, i cinghiali. Purtroppo non è cosi ed invitiamo tutti i nostri associati e gli agricoltori a non assumere iniziative che non sono autorizzate, né dalla citata sentenza della Corte, né dalla legge nazionale o dal regolamento regionale. Proviamo a fare chiarezza".
In Calabria, grazie alle richieste delle organizzazioni agricole, la Regione ha innalzato il numero dei capi da abbattere in forza del Piano di selezione, è insufficiente ma è un primo traguardo; in più – ed è la circostanza significativa – oltre alle tradizionali battute è anche autorizzata la caccia al singolo cinghiale e gli agricoltori possono sì procedere ma a patto che abbiano il relativo permesso e siano anche in possesso di un titolo abilitativo come “selettori”.
"E’ necessario dunque frequentare specifici corsi di formazione che, per inciso, vengono tenuti anche dalle organizzazioni di rappresentanza del settore agricolo. E’ bene, in una materia cosi complessa e che riguarda l’esasperazione di molti agricoltori alle prese con raccolti devastati o piante distrutte, non diffondere messaggi sbagliati o non del tutto corretti; il rischio è che qualche imprenditore agricolo passi alle vie di fatto ritenendosi autorizzato e vada incontro, invece, a multe e procedimenti. Oltre al danno, insomma, anche la beffa".