Con un lungo intervento su Umbria24, Emanuele Bennati, presidente regionale di Arcicaccia Umbria, prende posizione sul problema cinghiali. "La questione cinghiale - dice - è ormai da tempo fuori controllo, nessuna novità! ArciCaccia sta lo dicendo da anni ma la pandemia in corso ha aggravato ancora di più il problema, all’orizzonte si delineano le solite strategie folcloristiche volte, più che a risolvere le vere questioni, a evitare confronti concreti e soluzioni condivise. ArciCaccia concorda che siamo da tempo di fronte a un problema che sta mettendo a dura prova il mondo agricolo, ed è proprio per questo che invece di fare slogan inutili, ha più volte richiamato tutti i portatori d’interessi ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte. Le colpe e i fallimenti non possono ricadere tutte sul mondo venatorio che troppo spesso è stato additato, forse per comodità o forse per nascondere i fallimenti delle scelte volute, come unico colpevole del problema cinghiale. L’impegno dei cacciatori a supporto degli agricoltori quest’anno ha subito limitazioni importanti dovute all’impossibilità di spostarsi, e ha messo a nudo il limite degli strumenti e dei metodi utilizzati evidenziando un aumento dei danni all’agricoltura quasi doppio allo scorso anno e un aumento costante di incidenti con la fauna selvatica; segno evidente che le soluzioni messe in campo fino a ora non sono sufficienti e nemmeno idonee a contrastare tale fenomeno".
"Il problema cinghiale - prosegue - non riguarda solamente l’Umbria ma ormai l’Europa e tutta la penisola e, se vogliamo individuare possibili soluzioni, dobbiamo analizzare il problema in tutte le sue varie sfaccettature tenendo conto delle moltissime variabili che possono intervenire. Ricordiamo che negli ultimi 50 anni c’è stato un abbandono dei terreni agricoli per oltre 10 milioni di ettari, in favore di un aumento di circa 4 milioni di ettari di boschi, fattori estremamente favorevoli che hanno profondamente contribuito a una espansione di tutti gli ungulati (cinghiale, capriolo, daino e cervo), a scapito di tutte le altre specie di fauna, la creazione di aree protette o di conservazione che limitano qualsiasi tipo di intervento, l’incuria totale in cui vertono, le modalità d’intervento dettate da leggi e norme o pareri che limitano le azioni che si possono mettere in campo, le lungaggini burocratiche, la mancanza di competitori naturali che si contendono lo stesso habitat, la grande capacità adattiva della specie, l’ibridazione della stessa frutto di errori fatti nel passato, l’abbandono delle zone collinari, i cambiamenti climatici che incidono sulla riproduzione della specie, come dimostrato da studi scientifici; sono anche queste colpe dei cacciatori?"
"Non si può relegare il problema solo alla gestione dei distretti, al numero dei capi abbattuti durante il periodo di caccia che dura solamente tre mesi e con uno sfasamento temporale con i tempi dell’agricoltura o con regolamenti non al passo con i tempi. In Umbria - dice l'ArciCaccia - esistono realtà di confine, dove si registrano ingenti danni, dove il cinghiale non può essere solo un problema umbro: le aree protette di confine delle regioni limitrofe sono serbatoi immensi di cinghiali che causano danni in Umbria e si rifugiano al di là del confine, ma i danni gravano sui bilanci degli Atc umbri. Queste sono problematiche che non possono essere affrontate guardando solamente all’interno del confine amministrativo regionale. Ci aspetteremmo di sentir parlare di questi e altri argomenti nelle varie audizioni: queste problematiche devono essere affrontate e valutate e le soluzioni non possono essere solo gli spot politico-dottrinali. Nelle occasioni che ci sono state date di ascolto da parte delle istituzioni, abbiamo ribadito più volte che la soluzione non può essere solamente la possibilità di abbattere indiscriminatamente il cinghiale, a meno che (come già detto) questo non sia il modo per nascondere le mancanze altrui, ma servono anche interventi di tipo ambientale per limitare le zone di rifugio nelle aree di maggior presenza, tornare a coltivare con colture a perdere le aree collinari per allontanare la fauna delle colture intensive. Servono azioni congiunte su più fronti: gli interventi di contenimento anche quando effettuati con la massima responsabilità non sono sufficienti perché limitati nel tempo e nello spazio e, nella maggioranza dei casi, non sono risolutivi risultando solo un palliativo; questo perché si interviene sempre a danno avvenuto. Arci caccia negli anni scorsi è stata molto critica a proposito delle decisioni assunte dalla Regione sulla gestione del problema cinghiale e sulle modalità di caccia varate dalla regione, ritrovandosi sempre in minoranza e isolata anche all’interno del mondo venatorio. Abbiamo offerto la massima collaborazione a istituzione e mondo agricolo, sia nel suggerire norme più efficaci a tutela del mondo agricolo, con documenti a disposizione di tutti, dimostrando senso di responsabilità e rispetto nei confronti degli agricoltori che non vorremmo vengano strumentalizzati, in quanto solo in una fattiva collaborazione di tutti i portatori d’interesse si può per certo individuare soluzioni valide al problema. Sappiamo perfettamente che parte del mondo venatorio, non sempre ha risposto con senso di responsabilità di fronte al problema, ma non è il caso di Arci Caccia: sono anni che stiamo chiedendo alla Regione Umbria un regolamento per gestire la specie e uno per esercitare la caccia al cinghiale, nell’ottica di rispondere alle esigenze che sono maturate all’interno del mondo venatorio e agricolo."
"In questo momento particolare - insiste Bennati - ci preoccupa il silenzio assordante delle associazioni agricole che, fino a qualche mese fa, erano agguerrite con i cacciatori e con la Regione chiedendo interventi e fondi per fronte al problema cinghiale. Per chi ha memoria corta, ricordiamo che alcuni anni fa abbiamo lavorato per mesi al fianco di Coldiretti e Cia, con il contributo fondamentale del compianto professor. Bernardino Ragni, per la redazione di un piano di gestione dei conflitti faunistici, che le associazioni agricole stesse, e in primis Coldiretti, al termine del lavoro svolto, si rifiutarono di sottoscrivere e inviare alla Regione per il dictat dei propri dirigenti, mettendo anche in profondo imbarazzo i loro rappresentati intervenuti al tavolo; ecco perché quando si fa appello al senso di responsabilità è bene ricordare chi siamo stati e chi siamo. Da anni sosteniamo la necessità di creare una filiera controllata per la valorizzazione delle carni di cinghiale, dove vengano conferiti i capi abbattuti dagli interventi di contenimento autorizzati dalla Regione e che il ricavato sia destinato come previsto dal regolamento regionale 5 del 2010, ma è doveroso che la filiera rispetti requisiti stringenti, altrimenti il rischio è che per poi mantenerla, l’Umbria diventi un grande allevamento a cielo aperto. Le esternazioni emerse in audizione circa il sostegno univoco verso le associazioni venatorie ci lasciano l’amaro in bocca e ci fanno presagire anche solo il pensiero di un estromissione del mondo venatorio dalla discussione, il che sarebbe una sconfitta intellettuale e sociale, e non vorremmo mai pensare che dietro si nasconda altro… il tutto, tra l’altro in contrasto netto con le dichiarazioni dell’assessore Morroni, che ha più volte dichiarato di volere un confronto costante con il mondo venatorio. Apprendiamo che gli uffici regionali preposti stanno lavorando a un nuovo piano di gestione della specie cinghiale, ed è inutile ribadire che prima della stesura completa del piano, ci sia un confronto tra gli uffici e le associazioni venatorie per portare un contributo fattivo nella stesura dello stesso, portando elementi di discussione nuovi al tavolo. Arci caccia è disponibile alla più ampia e fattiva collaborazione, con tutte le associazioni, sia con gli agricoltori che con l’amministrazione regionale, ma non è più disponibile ad accettare scelte dettate da interessi univoci e personalistici da chiunque essi siano proposti, ed è certa che una eventuale esclusione del mondo venatorio dalla discussione non sarebbe utile ha nessuno, anzi, caso mai, sarebbe dannosa per tutti. Siamo perfettamente coscienti del problema e che certe scelte non sono più rinviabili: vogliamo che tutti i cacciatori e in particolare le squadre che esercitano la caccia al cinghiale ne prendano coscienza. Occorre rimanere uniti, perché fallire sulla gestione del cinghiale significa decretare la fine del modello di caccia sociale che oggi conosciamo. Non ci possiamo più permettere il lusso di far prevalere l’interesse di pochi a scapito di quello collettivo, perciò di fronte all’attacco massiccio che sta venendo avanti da parte del mondo agricolo, serve responsabilità e capacità di fare massa critica, senza divisioni o prevaricazioni nei confronti di altri cacciatori che esercitano la caccia al cinghiale o altre forme di caccia. Non ci possiamo permettere più divisioni all’interno del nostro mondo, molto spesso create ad arte, anche da alcune associazioni venatorie per il favore della tessera o della politica… “divide et impera”, dicevano i romani".
"Facciamo appello al senso di responsabilità dei molti cacciatori. Abbiamo il diritto di difendere la nostra passione e anche il dovere di tutelare chi ci ospita - conclude il presidente di ArciCaccia umbra - . Affrontare una emergenza – e purtroppo ci siamo resi conto di che cosa significhi in questo anno per motivi ben più gravi – fa sì che le azioni di chi è chiamato ad amministrare e a rispondere a una esigenza reale non sempre siano scelte popolari, perciò è giunto il momento di dimostrare che il mondo venatorio è all’altezza della situazione. Arci caccia è in campo per difendere la caccia sociale e il modello italiano, ma abbiamo bisogno del sostegno e della responsabilità dei cacciatori tutti. Ce lo impone il ruolo e il rispetto che abbiamo verso i nostri iscritti e verso tutti i cacciatori, che continuamente si sentono additati come unici responsabili del problema. Questo non lo possiamo permettere più, non vogliamo difendere i furbi, noi vogliamo difendere gli onesti; gli errori fatti nel passato da alcune associazioni venatorie, come il far prevalere la voce grossa dei prepotenti, e il limite della politica regionale che per fini elettorali ha cavalcato il consenso, hanno causato danni incalcolabili al mondo venatorio. Il cacciatore moderno deve essere consapevole che la sua opera deve essere utile a ripristinare velocemente gli squilibri che si sono determinati in natura e non solo sulla specie cinghiale, diventando un modello utile per la collettività. Solo così ci guadagneremo il rispetto che merita la nostra categoria".