Suddivisa in tre puntate, vi proponiamo la prima parte di "Memorie di un padulano", la straordinaria testimonianza di una vita vissuta nei valori della caccia e della natura, sullo sfondo nostrano del Padule di Fucecchio. A raccontarcele è Giovanni Franceschi.
Credo innanzi tutto sia doveroso presentarmi. Sono nato a Capannori circa settanta anni fa da padre lucchese e madre pontigiana, ma per cause belliche, mio padre morì ed io sono cresciuto a Ponte Buggianese in casa del nonno materno il quale, oltre che cacciatore era un appassionato allevatore di ogni specie di animali, dai cani agli uccelli esotici.
Quindi sono cresciuto in mezzo a gabbie e voliere assaporando ogni giorno le gioie e le delusioni che si alternano in questa passione. Contemporaneamente è maturata la passione per la caccia, prima al capanno poi in Padule; già a dodici anni qualche amico compiacente, la domenica, mi portava al cesto.
Di quelle giornate ricordo il grande freddo, stoicamente sopportato, ma anche tanta emozione per i voli, le luci, i suoni e le rare prede.
Da allora posso dire che il Padule mi è entrato nel sangue non solo dal punto di vista venatorio, ma anche per il suo valore ambientale e sociale nella storia della Valdinievole e dei suoi abitanti.
Per rimanere in qualche modo nell’ambiente ho scelto l’Istituto Agrario di Pescia dove, grazie ad un grande Maestro, il professor Ennio Andreucci, ho approfondito in modo scientifico l’infarinatura, appresa sui libri del nonno, di zoologia e botanica.
Ho iniziato ad insegnare applicazioni tecniche, con poco entusiasmo, ma avevo uno stipendio sicuro e tanto tempo libero per le mie passioni: caccia e pesca. Per pesca intendo quella fatta da secoli in Padule con nasse, bertibelli, retoni, gori, goretti e cerchi, oltre a quella con la bilancia e la mazzacchera.
Nelle notti di primavera spingevo il barchino mentre il compianto Cucchio, pescatore di professione, alla luce del frignolo, chiappava i ranocchi in frega con la facilità di chi coglie le ciliegie; se ne riportava venti o trenta chili per notte!
Appena diplomato mi iscrissi alla facoltà di Agraria, superai gli esami di zoologia e botanica a pieni voti poi, dopo una decina di esami, mi inceppai sulla chimica, iniziai ad insegnare e abbandonai.
Alcuni anni dopo il nonno al quale la mancata laurea era rimasta di traverso, mi fece vedere un ritaglio di giornale che comunicava l’apertura di un nuovo corso di laurea presso la facoltà di Veterinaria di Pisa: Scienze Della Produzione Animale.
La cosa mi interessò, andai a parlare con il preside di facoltà il quale, in cerca di iscritti, (erano anni nei quali veterinaria rischiava la chiusura) mi promise di riconoscere buona parte degli esami sostenuti ad agraria e iniziai di nuovo il mio iter da studente.
Naturalmente continuai ad insegnare, la mattina professore poi un panino e, con la cinquecento, a Pisa alle lezioni.
Dei dieci iscritti molti eravamo studenti lavoratori quindi ottenemmo di avere le lezioni più importanti al pomeriggio. Già allora potevamo presentare un piano di studi ed io privilegiai alcune materie come idrobiologia, piscicoltura e avicoltura per approfondire le conoscenze relative alle mie passioni.
Molte nozioni le conoscevo già da bambino così mi laureai in quattro anni con una tesi sull’allevamento del colombo in onore del nonno che aveva acquistato la prima coppia di piccioni a dieci anni per due paoli.
Scusatemi se mi sono dilungato un pò troppo mentre avrei potuto semplicemente dire che tutto quello che ho fatto nella mia vita è sempre stato in funzione delle mie passioni evitando accuratamente di farne motivo di lucro.
Veniamo al mio Padule del quale oggi si parla tanto, quasi sempre a sproposito per ignoranza o per pura speculazione.
Ometto le notizie storiche che potrete trovare su alcune ricerche pubblicate in epoche successive dal Comune di Monsummano e reperibili in ogni biblioteca della Valdinievole.
L’ecosistema palustre è mutato moltissimo nel corso dei secoli trasformandosi da insenatura lagunare a lago dolce a palude alluvionale, ma possiamo dire che per due secoli fino agli anni sessanta è rimasto pressochè immutato.
Nel 1977 il Consorzio di Bonifica pubblicò un volume intitolato “Progetto pilota per la salvaguardia e la valorizzazione del Padule di Fucecchio”.
A pagina 20 a proposito di flora e vegetazione dice testualmente “per avere uno studio specifico dedicato alla flora ed alla vegetazione del comprensorio ci dobbiamo rifare ad un apposito lavoro del Nannizzi pubblicato nel 1938. Omissis…. “quelli citati da Nannizzi sono 224 mentre con la presente indagine ne sono stati rinvenuti 207”.
Si dice inoltre che sono aumentate le terofite (piante annuali che si propagano per seme), e le geofite(piante perenni con gemme sotterranee, bulbi o rizomi) mentrediminuiscono le idrofite (piante perenni acquatiche con gemme sommerse) e seppure lievemente delle fanerofite (piante legnose perenni con gemme a più di tre metri di altezza dal suolo).
Da tutto ciò si può concludere che la situazione floristica è pressochè stabile considerando i mutamenti che la società ha compiuto dal periodo pre a quello post bellico.
Per la fauna non si hanno dati certi di riferimento, tuttavia sia le specie ornitiche che le ittiche censite sono quelle della memoria storica e da me rilevate una per una.
Interessante la presenza talora molto abbondante di una ricca e variata microfauna di cui a pagina 27 ne viene dato un dettagliato resoconto.
Dobbiamo rilevare che questa indagine fu fatta negli anni immediatamente precedenti il ’77 quando alcune situazioni ambientali erano già profondamente mutate.
Prima della guerra e per i primi anni del dopoguerra, il consumo di acqua delle famiglie era molto limitato, le case provviste di acqua in casa (di solito solo in cucina) si contavano sulle dita di una mano, le industrie, conce e cartiere, erano state decimate dalla guerra e gli unici detersivi, usati con molta parsimonia, erano sapone,lisciva e soda.
Inoltre quasi tutte le case erano dotate di pozzo nero ove si raccoglievano i liquami organici e non le acque chiare che avrebbero diminuito il valore del “bottino”.
Periodicamente,nottetempo, venivano gli ortolani della zona o della lucchesia (si diceva che prima di prelevarlo lo assaggiassero per valutarne la forza) e in cambio di un mazzo di asparagi, svuotavano i pozzi neri travasandolo in botti di legno caricate su carri e li usavano per concimare gli ortaggi in barba ad ogni regola igienica.
Con tutto ciò non pensiate che, come qualcuno di memoria corta sostiene, le acque dei fiumi e in particolare della Pescia maggiore, fossero prive di inquinanti, anzi, basti pensare che conce, cartiere e fognature della città di Pescia, versano tutto nel fiume.
Per giunta la popolazione della Valdinievole lavava nei vari fiumi e torrenti i propri panni e per non scendere in particolari ricordo che non esistevano nè pannolini nè pannoloni usa e getta!
Poi il sabato, d’estate, si prendeva sapone e asciugamano e si andava a lavarsi nel Tonfo vicino casa (i tonfi erano tratti del fiume molto profondi creati dalla escavazione della rena).
Le acque non presentavano una trasparenza elevata a causa dell’alta carica microalgale, in cinquanta centimetri d’acqua non si vedeva il fondo.
I primi problemi cominciarono a manifestarsi nei fiumi nei primi anni ’60 con colorazioni anomale delle acque,rosse,verdi celesti e conseguenti morie di pesci soprattutto nei regimi di magra.
La città di Montecatini convogliava i suoi rifiuti liquidi nel fosso dei Massesi scavato prima della guerra che sfociava nella Borra circa un chilometro prima della sua immissione nel Canale del Terzo,ricordo che la mattina verso le nove,in piena stagione turistica, ,arrivava una vera e propria onda di m...a dei villeggianti, allora numerosi, che si erano svuotati.
Monsummano scaricava tutto nella Candalla che finiva anch’essa nel Canale del Terzo.
Intanto, anche nelle campagne tutti avevano l’acqua in casa, le prime lavatrici, i detersivi di nuova generazione, ma non ancora una fossa biologica funzionante.
Ognuno scaricava dove voleva, fossi, rii e torrenti furono invasi da scarichi fognanti.
Nel contempo i consumi idrici erano molto aumentati,si scavavano pozzi artesiani sempre più profondi e era evidente che le falde superficiali si stavano abbassando e la portata dei torrenti e dei fiumi,di conseguenza diminuiva.
Prima, in pieno agosto, i tagliatori di pattume in padule scavavano una buca di trenta o quaranta centimetri e, la sera, avevano l’acqua fresca per lavarsi, ora dovevi scavare un metro.
La portata dei fiumi calava di anno in anno, nella Pescia dal ponte del Marchi a quello de’Pallini cerano più di cinquanta pompe in azione che irrigavano orti e garofani, pertanto la quantità degli inquinanti aumentava percentualmente.
Le morie mi permisero di valutare l’enorme patrimonio ittico del Pescia, predominavano tinche, lucci e anguille ma erano presenti molte altre specie europee.
Il Padule risentiva di questi eventi negativi con maggior lentezza in quanto gli immissari allora, a differenza di oggi, confluivano in Padule formando un delta di rivoli e canaletti.
In tal modo le acque subivano un filtraggio ed una riossigenazione, quindi una parziale depurazione naturale, poi le grandi piene diluivano il tutto.
Comunque i pochi pescatori rimasti denunciavano sempre minori catture pregiate ed un progressivo aumento dei pesci gatto in particolare le anguille erano sempre meno.
Logicamente l’ inquinamento dell’Arno procedeva di pari passo o anche peggio visto il peso antropico che doveva sopportare ed è facile immaginare che le cee (ceche, avannotti di anguilla) disgustate cambiassero strada o morissero di asfissia.
Gli uccelli invece non fecero una piega, anzi, grazie alla creazione di ampie zone private di sosta, aumentarono notevolmente e furono anni di grandi soddisfazioni.
La caccia primaverile offriva ancora grandi soddisfazioni sia ai cestaioli che ai pedonatori.
Gia dalla prima luna di febbraio capitavano giorni di grande passo di mezzani (codoni,fischioni ma se c’era acqua sufficiente anche uccelli da tuffo), poi, beccaccini, gambette e dai primi giorni di marzo rallidi in quantità.
La caccia a pedona di primavera era molto praticata, chi aveva un buon cane faceva carnieri abbondanti, ma bastava avere un canaccio con un pò di passione per riportare sempre qualcosa.
Giovanni Franceschi