Ne abbiamo già parlato durante i mesi invernali, quando decine di carcasse di cervi, caprioli, camosci e stambecchi sono state ritrovate nelle cosiddette “aree protette”, mentre altrove grazie al complicato intervento di alcuni cacciatori il nutrimento per questi ungulati è arrivato garantendo la sopravvivenza di molti animali.
Ora che i ghiacci si stanno sciogliendo del tutto sulle montagne bellunesi stanno venendo a galla i veri numeri della strage: oltre 500 cervi, 60 caprioli e decine di camosci, mufloni e stambecchi. Se si aggiunge che non ancora tutte le carcasse sono state censite, si può facilmente intuire la straordinaria dimensione del fenomeno.
Gli enti gestori parlano di un notevole incremento demografico della popolazione di cervi “Il territorio - spiega Gianmaria Sommavilla, dirigente del settore Tutela e gestione della fauna per la Provincia di Belluno - ha una capacità portante ben determinata. In realtà noi registriamo una popolazione di cervi molto consistente, incrementatasi negli ultimi anni in maniera elevata. Ciò fa subire inevitabilmente dei contraccolpi in quanto non per tutti i capi esistono le situazioni ottimali per superare un duro inverno come quello appena trascorso”.
Dunque se di selezione naturale si parla, ci sembra una contraddizione chiudere queste aree anche all'attività venatoria, che dal canto suo, sa invece adoperarsi intervenendo laddove si creino forti squilibri. Cosa che ci pare sia ben altra cosa dal lasciare morire inermi centinaia di animali per sopraggiunte condizioni atmosferiche.