Cionci parte dalla constatazione di quanto sia assurdo importare selvaggina per un paese che ha un così evidente problema di sovrannumero della fauna selvatica, chiedendosi come mai “non si riesce a trasformare un problema grave in una risorsa alimentare di carne gratuita, sanissima, immediatamente disponibile e dalle straordinarie proprietà organolettiche”. La caccia di selezione, dice, è “una goccia nel mare rispetto all’emergenza”.
A chi oppone come obiezione il mantra dell’ideologia animalista, risponde con le parole del filosofo spagnolo José Ortega y Gasset, il cui leggendario “Discorso sulla caccia”, (1948), secondo lui andrebbe insegnato nelle scuole. "Spiega Ortega che l’uomo, a causa della cronica difficoltà nello scovare gli animali da cacciare, ha da sempre imparato a limitare il proprio potere distruttivo, rinunciando ad esercitare tutta la supremazia sull’animale: si mette a imitare la natura, regredendo volontariamente per rientrare lealmente in essa. Per questo, fin dai tempi più antichi, i nobili disponevano di guardiacaccia, veri giardinieri della fauna selvatica, che ne impedivano il bracconaggio e lo sterminio".
Imperdibile, secondo Cionci, anche un libro del 2012, “The mindful carnivor”, (casualmente) mai tradotto in italiano, del nutrizionista americano Tovar Cerulli. Da vegano-buddista-ecologista oltranzista, Cerulli ha compreso che quello venatorio è in questo senso un atto ecologico, ed è diventato cacciatore.
Felici che Libero, grazie ai suoi illustri blogger, stia rimediando a certe boutade del suo fondatore, Vittorio Feltri, paladino animalista fiancheggiatore di tante battaglie brambilliane. Che il vento stia cambiando?
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