“Finalmente”: con questa parola, pronunciata con enfasi, il presidente nazionale dell’Unione nazionale cacciatori Zona Alpi, Sandro Flaim, ha aperto la 55ª Assemblea annuale. Al cospetto del ghiacciaio del monte Rosa, in quel di Macugnaga (Vco), l’appuntamento saltato lo scorso anno per l’emergenza Covid ha visto di nuovo i rappresentanti delle Sezioni provinciali e dei Circoli incontrarsi per obbedire a quelli che ormai sono i precetti dell’evento: scambiarsi conoscenze, fare cultura e coltivare l’amicizia e la voglia di stare insieme. Missione compiuta grazie all’abilità organizzativa di Bruno Campagnoli, presidente della Sezione provinciale, e di Eugenio Morandi, presidente della locale Sezione, con la collaborazione di alcuni volontari tra cui Piero Nanni e Riccardo Morandi. Il sindaco Stefano Corsi ha dato il benvenuto durante la cerimonia d’apertura presso la Kongresshaus, ricordando come a Macugnaga sia viva e vissuta una cultura di montagna come quella Walser. “È proprio la cultura di montagna quella che noi vogliamo difendere e diffondere: – ha ribadito Flaim – non della montagna-cartolina, ma quella dei malgari e del bestiame al pascolo”. In serata il documentarista e scrittore Teresio Valsesia ha mostrato due sue produzioni: “Vecchi stambecchi e giovani camosci” e “Il Camminaitalia 1995” dedicato al settore delle Alpi.
Il sabato mattina, in contemporanea con la gita dedicata alle signore, si è tenuto il convegno “Cambiamenti climatici, ambiente e fauna sulla Alpi”, clou dell’evento.
Nel primo contributo, “Limiti e opportunità climatiche ed ambientali per l’ecologia dell’avifauna di montagna”, il tecnico Davide Scridel ha descritto alcuni esempi di strategie d’adattamento da parte di alcune specie come il diuca alibianche e il nostrano fringuello alpino, “ma alcuni adattamenti avvenuti nel corso di molti anni possono essere controproducenti di fronte agli attuali cambi climatici rapidi, – ha avvisato – che non influiscono solo attraverso l’aumento della temperatura, ma anche con gli eventi meteo estremi”. Recenti studi su 14 specie montane europee hanno registrato un calo del 7% in 12 anni, con punte del 12% per le specie tipiche di quote più alte, diminuzioni più significative di quelle riscontrate in specie di climi caldi. “Con un’accurata gestione forestale – ha concluso – è possibile attutire gli effetti dannosi”.
La d.ssa Roberta Chirichella ha trattato “Gli ungulati alpini: effetti dimostrati e attesi del clima che cambia”. “Sulle Alpi, soprattutto tra i 1.500 e i 2.000 metri, i cambiamenti sono stati più marcati, – ha esordito – con 2° in più e maggiori eventi estremi”. Da queste modificazioni alcune specie, come il cinghiale, hanno tratto vantaggio, altre no, come il camoscio e lo stambecco. A proposito di quest’ultimo, ad esempio, i soggetti giovani, a causa dell’aumento della temperatura, sono costretti a salire più in alto usando aree sub-ottimali per il foraggiamento, che risulta più povero di proteine. Nelle sue conclusioni Chirichella ha sintetizzato le conseguenze dei cambi climatici: effetti diretti sulla termoregolazione e indiretti sulla disponibilità di foraggio e capacità di acquisirlo; spinta all’adattamento, che però necessita di tempi lunghi; nuove competizioni intraspecifiche. “Ma gli studi in quest’ambito forniscono risultati contrastanti. – ha affermato – Per prevedere quel che accadrà c’è bisogno di dati, e il prelievo venatorio è un grande serbatoio dal quale la ricerca può attingere”.
Il prof. Luca Rossi ha illustrato i “Cambiamenti climatici e stato di salute degli ungulati alpini”, relazione stilata con il collega Pier Giuseppe Meneguz, presente in sala. I due docenti hanno analizzato gli effetti dell’aumento di temperatura, precipitazioni e umidità sui parassiti, con un primo effetto di rottura dell’equilibrio ospite-parassita. Ciò causa non solo un maggior numero di infestazioni, ma anche un maggior tempo per le guarigioni e un minor numero di rimonte. Se all’estero ormai questa dinamica è stata ampiamente riscontrata, ad esempio nel bue muschiato, anche da noi si vedono i primi timidi segnali: la fasciola epatica è stata rilevata in camosci a 2.100 metri e le zecche sono arrivate a quote più alte. Sulla scorta di diversi studi Rossi e Meneguz hanno anche formulato qualche previsione: per alcune malattie a trasmissione diretta, come la cheratocongiuntivite, l’impatto sarà minore, ma i soggetti colpiti si riprenderanno con più difficoltà; alcuni parassiti gastrointestinali diventeranno più attivi, anche se non diffusamente. Quali le possibili soluzioni? “Dobbiamo essere resilienti, – ha auspicato Rossi – pronti ad affrontare le conseguenze del clima mutato chiedendoci se l’attuale gestione in ambito venatorio sia rispondente all’oggi, affidandoci a figure idonee come i tecnici faunistici e promuovendo la raccolta dati presso i centri di controllo con la collaborazione dei cacciatori”.
Un’ottica del tutto diversa sul tema quella dell’intervento dello storico Paolo Crosa Lenz, “Le nuove Alpi – cambi climatici e sociali”. “Anche gli uomini cambiano con il clima. – ha dichiarato, e sulle entità geografiche e antropiche interessate ha fornito alcuni dati – Le Alpi sono lunghe 1.200 km e larghe 400 per 240.000 kmq su 8 Stati. Ospitano 13 milioni di abitanti e 150 milioni di turisti”. La presenza umana, maggiore o minore a seconda del clima, è cambiata anche qualitativamente: “Dall’800 la montagna da luogo di esclusiva produzione – ha spiegato – è diventato luogo di ricreazione con la nascita del turismo e l’affermazione di nuove figure come la guida alpina e l’albergatore. Ma se il turismo ha portato benessere in popolazioni prima ai limiti della sussistenza, – il grido d’allarme dello storico – ha anche portato la città in montagna, e la prima è vincente”.
Preoccupazione condivisa da Flaim, che ha chiosato il convegno ribadendo che tra gli scopi dell’Uncza ci sia quello di fare da tramite tra opinione pubblica e montagna intesa in senso culturale e faunistico. Oltre a ciò, per il presidente il convegno ha dimostrato ancora una volta che è necessario conoscere le popolazioni animali alpine per poterle gestire anche di fronte al cambiamento. Un ruolo, il gestore, che una volta portato alla più ampia conoscenza può migliorare il rapporto tra cacciatori e no, con i primi che, grazie anche all’Uncza, devono migliorare la propria cultura venatoria. “Come alcuni dei relatori hanno affermato, – ha terminato – la ricerca ha bisogno dei cacciatori, e i cacciatori hanno bisogno delle conoscenze degli studiosi per governare i cambiamenti”.
Nel pomeriggio spazio ai lavori assembleari, impegnati in gran parte dalla relazione del presidente iniziata, dopo i ringraziamenti agli organizzatori, con un forte richiamo alle radici dell’Unione: “Siamo gli stessi dalla nascita. – ha sostenuto – Siamo sempre alla ricerca del cacciatore-signore, di quel ‘camminatore silenzioso’ descritto Rigoni Stern, di cui il 1° novembre sarà celebrato il centenario della nascita. A tal scopo ci siamo evoluti per affrontare nuove sfide come il raggiungimento della legittimazione della figura del cacciatore presso la pubblica opinione e la difesa della cultura montana sempre più minacciata”. Sul futuro prossimo, Flaim ha giudicato positiva la svolta ambientalista intrapresa dalla società, ma si è detto molto preoccupato dalle minacce referendarie anticaccia: “tentativi anacronistici” le ha definite. Per respingerli l’Uncza deve puntare sulla crescita culturale dei cacciatori, sulla ricerca applicata e sulla comunicazione. A seguire sono state elencate tutte le attività associative svolte dal 2019 al 2021, i mezzi di comunicazione Uncza e quelli in cui è ospitata, gli eventi divulgativi, gli appuntamenti culturali, le ricerche scientifiche in atto, le attività tecniche correnti. Terminata la relazione e sbrigati gli adempimenti assembleari dedicati ad alcune delibere consiliari e ai bilanci degli ultimi due anni, a cura del consigliere Sandro Eccher, si è proceduto alla tradizionale premiazione delle tesi di laurea: gli elaborati selezionati sono stati “Valutazione della corretta gestione delle carni di selvaggina destinate alla commercializzazione” di Emanuele Pizzini e “Uno studio sull’idoneità dell’habitat per il fagiano di monte (Lyrurus tetrix) nella Piccole Dolomiti vicentine” di Martina Dal Toè.
La domenica mattina, dopo la messa e una luculliana risottata all’aria aperta, il consueto scambio della scheibe tra Macugnaga e Sanremo (Im), sede 2022 dell’Assemblea, ha concluso la 55ª Assemblea. (Marco Calvi)