Dopo la bocciatura in Commissione dell'emendamento che che prevedeva l’allargamento del divieto di caccia a Comuni e Regioni in zone molto più ampie rispetto a quelle percorse dal fuoco, occhi puntati sulla discussione del Decreto Incendi in Senato. Durante il dibattito in aula di ieri, che si è protratto fino alle ore 21 e che oggi dovrebbe arrivare al voto, diversi interventi hanno toccato il tema. Dal resoconto stenografico dell'aula, riportiamo di seguito ciò che hanno detto a difesa della caccia i Senatori Francesco Bruzzone (Lega) e Luca Carlo (FDI).
BRUZZONE (L-SP-PSd'Az): Signor Presidente, stiamo affrontando la conversione di un decreto-legge importante che riguarda il territorio rurale del nostro Paese, la stragrande maggioranza del territorio italiano e, in modo particolare, quel 35 per cento del territorio italiano costituito da aree boscate, un vero e proprio polmone importante per il nostro ambiente. Gli incendi costituiscono un problema pesante da affrontare seriamente, considerato che la maggior parte di questi sono di origine dolosa o colposa. È questo il punto. Nel merito: chi ha interesse nel nostro Paese che ci siano gli incendi? Sicuramente quelli che possono guadagnare sugli incendi e anche quelli che possono avere interesse affinché scattino i divieti previsti nelle aree percorse dal fuoco. Sono le due basi: incendio, interesse sull'incendio oppure interesse a far scattare il divieto previsto dall'incendio. Di matti in questo Paese - faccio un inciso - ce ne sono! Io personalmente ho a che fare quasi tutti i giorni con quelli che mi dicono e mi scrivono che devo morire, che sono un "assassino di m...", che la caccia va fermata a qualsiasi costo. A scriverlo sono dei matti perché uno che mi scrive che sono un "assassino di m..." e che devo morire domani mattina è un amico ("bacioni", come si dice), ma è un matto! Ma a questo matto mettiamo in mano l'arma con il mirino? Ragioniamoci. Ci sono, poi, quei soggetti che hanno interesse acché gli incendi non ci siano: è tutta la collettività, mi auguro. Tutti noi abbiamo interesse che non ci siano, in modo particolare coloro che dalle aree rurali prelevano un qualcosa, per cui se arriva un incendio, quel qualcosa non lo prelevano più, non solo perché c'è il divieto, ma perché l'ambiente va in una condizione di degrado tale per cui non è possibile prelevare alcunché, che sia un frutto del sottobosco, fauna o altro. Quei soggetti hanno interesse affinché l'incendio non ci sia. Altra domanda: in questo Paese chi fa la prevenzione contro gli incendi? Sicuramente quelli che presidiano il territorio. Abbiamo capito - la parco mania indiscriminata ce lo ha fatto capire - che il territorio abbandonato a sé stesso è maggiormente assoggettato agli incendi; quindi, coloro che presidiano il territorio, che mantengono pulito il sottobosco, gli agricoltori, i cacciatori - ritorno anche alla mia categoria - i pescatori, tutta quella gente che fa interventi di miglioramento ambientale fa prevenzione degli incendi.
Sicuramente la prevenzione degli incendi non la fanno i cosiddetti ambientalisti salottieri che pontificano, ma non sanno cosa voglia dire fare prevenzione. Poi ci sono quei soggetti presenti sul territorio per altri motivi; la loro è una semplice presenza: gli escursionisti, i fungaioli; tutti quanti fanno un certo tipo di prevenzione perché comunque la loro è una sorveglianza. Ancora, ci sono quelli che si adoperano per spegnere gli incendi: i professionisti del settore, che vanno ringraziati, ma anche tutti quelli che non sono professionisti, quegli operatori che tengono talmente tanto al loro ambiente, al loro terreno, che fanno qualsiasi cosa, quando scoppia un incendio, per andare a fermarlo. Sicuramente non sono quelli di prima - i vostri amici di qualcheduno, gli ambientalisti salottieri - quelli che vanno a fare questo lavoro. A Genova diciamo «ma tastu se ghe sun», e qual è la risposta che qualcuno ha provato a dare di fronte al problema degli incendi e di dover fare il possibile per ridurli? Il problema si sposta sulla fauna selvatica, e qualcheduno addirittura - per come è messo oggi il Paese - propone di incrementare le zone di protezione. Sfido chiunque a dire che mettere il divieto di caccia in una zona non voglia dire fare una zona di protezione; quindi, andiamo a fare migliaia di nuove zone di protezione, visto il numero degli incendi, ove la fauna può fare quello che vuole indiscriminata, a cominciare dal cinghiale. La risposta al problema degli incendi è zone di protezione del cinghiale! Credo che siamo alla follia con quanto sta avvenendo nel Paese. Ringrazio anzitutto le associazioni agricole, che, quando hanno capito ciò che stava per succedere con l'emendamento sul quale abbiamo sprecato inutilmente tanto tempo in Commissione, hanno mandato comunicati dicendo: fermi, non un metro in più di territorio protetto perché non ce la facciamo più con questa eccessiva presenza di animali di proprietà dello Stato, tra l'altro, che fanno danni, provocano incidenti e lo Stato se ne frega e non risponde. Peraltro, questa è una partita che andrebbe affrontata, sì, ma non in questa legge. Colleghi, quelli che fanno i danni e causano la morte delle persone nelle strade sono di proprietà indisponibile dello Stato - lo dice l'articolo 1 della legge n. 157 del 1992 - ma lo Stato non ne risponde e se ne frega di tutto ciò che avviene. Ringrazio anche i colleghi delle associazioni venatorie, che hanno dato la disponibilità di parecchie centinaia di migliaia di loro iscritti, per fare sorveglianza e prevenzione. Dispiace quindi aver assistito in Commissione a proposte irrazionali e ideologiche, non solo per aumentare le zone di protezione con un automatismo di legge, ma chiaramente finalizzate, come è emerso anche in qualche intervento, a raggiungere un altro obiettivo: fare una campagna politica. Vergogna! Grido alla vergogna, perché si usa il tema degli incendi per fare una campagna politica anti-attività venatoria e anti-caccia, al punto tale che più volte è emerso il discorso del referendum per abrogare la caccia, cioè quel referendum nel quale si andrebbe a chiedere agli italiani di istituire un'intera zona di protezione per il cinghiale in tutto il Paese. Non importa, abbiamo capito che questo tema è visto in modo pregiudiziale, non in modo reale. Colleghi, guardate che insieme alla preoccupazione e al disagio delle associazioni agricole, pian piano sta arrivando anche quello di tanti altri cittadini italiani, che non sono interessati direttamente, ma che capiscono che su questi temi deve prevalere il buon senso, piuttosto che l'irrazionalità o i sentimenti di qualcuno. Capisco il MoVimento 5 Stelle: si è tentato di esautorare le Regioni italiane, che per legge hanno la competenza della gestione della fauna selvatica, fanno i piani faunistici e le zone di protezione, stabiliscono quali sono le specie cacciabili e quali quelle protette, nonché le zone di rispetto per l'avifauna migratrice. Le Regioni fanno tutto questo e c'è stato un tentativo di esautorarle da questo compito, con l'automatismo di una legge statale. Capisco il MoVimento 5 Stelle, perché loro nelle Regioni non toccano biglia. Questo lo abbiamo capito: se potessero le abrogherebbero (Applausi), viste le continue brutte figure e i calci che prendono ogni volta dagli elettori, quando ci sono le elezioni regionali. Avremmo potuto affrontare anche noi un tema divisivo: i dieci anni di divieto nella macchia mediterranea non servono. Ci sono alcune Regioni che hanno ridotto a tre anni, perché la macchia mediterranea ritorna quella di prima. Non lo abbiamo fatto, perché abbiamo la responsabilità di non toccare temi divisivi, sia pure in quella sacrosanta libertà di parola, che dobbiamo sempre garantire, dando ad ognuno la possibilità di dire quello che pensa. Mio nonno mi diceva, quando ero bambino (lo dico in italiano, anche se lo diceva nella mia lingua): «Caro bambino, c'è la libertà di parola, ma ricordati che piuttosto che parlare di una cosa che non conosci, è meglio stare zitto».
DE CARLO (FdI). Signor Presidente, vorrei iniziare ringraziando tutti quegli uomini e quelle donne che giornalmente ormai combattono gli incendi, per cercare di porre rimedio a situazioni che hanno una precisa responsabilità e che un Parlamento maturo come il nostro deve cominciare a riconoscere. Ne parlerò magari più avanti. Quello che appare evidente è l'ormai solita tendenza, tutta italica, di legiferare sull'emergenza. Tra l'altro, guarda caso, l'emergenza di questi ultimi cinque anni è legata proprio all'aumento degli incendi boschivi, che ha una precisa responsabilità: quella di essersi privati dell'unico corpo che in realtà faceva prevenzione, cioè il Corpo forestale dello Stato. Io credo che, a fronte di questo, una parte di questo emiciclo sa che, se oggi stiamo intervenendo anche con delle risorse, è perché allora si sbagliò la scelta. Oggi è doveroso aumentare le risorse su questi capitoli. Attenzione, non è certo Fratelli d'Italia che dice che non si devono aumentare le risorse o che non si devono aumentare le pene per i piromani; ce ne guardiamo bene. Però mi chiedo: se non si fosse deciso con la legge Madia, durante il Governo Renzi, di privarsi del Corpo forestale dello Stato, oggi saremmo in queste condizioni? I dati ci dicono una cosa assolutamente diversa: fino al 2016 il trend degli incendi boschivi in Italia era in discesa. Poi, guarda caso, si è deciso di privarsi degli uomini sul campo. Se qualcuno pensa che il satellite possa sostituire l'uomo, si sbaglia di grosso, perché vorrebbe dire che un'intelligenza artificiale potrebbe sostituire i parlamentari della Repubblica. Ecco, a qualcuno piacerebbe anche, ma in realtà la democrazia è qualcosa di diverso da questo. Quindi credo che, se magari il concetto che sarebbe meglio essere sostituiti da un'intelligenza artificiale vale per qualcuno di noi, forse non può valere come principio generale del Parlamento. In primo luogo è quindi necessaria un'assunzione di responsabilità da parte di chi votò e volle quella legge alla quale oggi, guarda caso, ci troviamo a dover apportare un correttivo. È sotto gli occhi di tutti - basta guardarla - la situazione dell'ambiente nazionale italiano. Non occorre aver letto il libro del fondatore del WWF Fulco Pratesi per capirlo e per saperlo. Basterebbe osservare i dati degli ultimi anni: fino a pochi anni fa la maggior parte della popolazione viveva nelle aree rurali, con tutto quello che ne consegue, cioè con la manutenzione del territorio, con il presidio, con il controllo. Il 70 per cento viveva nelle aree rurali e solo il 30 per cento viveva nelle città. Oggi siamo arrivati a una condizione di quasi parità. Se non si inverte il trend, nel giro di vent'anni avremo rovesciato le percentuali, cioè il 30 per cento vivrà nelle aree rurali, privando quindi il territorio di un grandissimo presidio, e il 70 per cento vivrà nelle aree urbane. Questo ha già un effetto, perché il bosco, che a tutti piace (evoca Heidi e i cartoni animati), è già cresciuto del 30 per cento in Italia. Tuttavia, è cresciuto non il bosco ordinato e curato, bensì il degrado. In alcune parti d'Italia i borghi sono soffocati dalle siepi e dal bosco. Non servono uno studio scientifico e una visione dal satellite per capirlo, ma basterebbe interrogare le comunità locali. Prima il mio collega La Pietra l'ha detto in maniera molto chiara: oggi le comunità locali sono lasciate e abbandonate a se stesse, così come lo sono gli agricoltori. Ci sono due categorie, una delle quali vista da una certa ideologia non dico con mancanza di rispetto, ma sicuramente con un po' di terrore. Da una parte ci sono gli agricoltori, che da sempre si occupano di mantenere il territorio anche senza avere uno Stato amico e, anzi, nemmeno neutrale (alcune volte, con le nostre leggi, lo Stato è addirittura contro) e, dall'altra, i cacciatori. Vi do una notizia: in alcune aree d'Italia il mantenimento del territorio lo fanno i cacciatori. Fatevene una ragione! (Applausi). Quel mantenimento è fatto per un equilibrio costante tra uomo e natura, tra gli stessi protagonisti della natura. Criminalizzare la caccia, oppure, in maniera subdola, voler inserire un emendamento in base al quale, se c'è un incendio a Rovigo, non si caccia a Belluno mi pare quantomeno bizzarro e - soprattutto - assolutamente fuori contesto rispetto a ciò di cui trattiamo oggi. Dovremmo oggi assumerci l'onere (qualcuno di voi più di altri) di dire: abbiamo sbagliato. Oggi dovremmo dire: ritorniamo a quel sistema che faceva prevenzione. Basta copiare. Non occorre inventarsi provvedimenti spot come quello in esame per rendersi conto che c'era un sistema che funzionava e che può essere ripreso. Non si tratta di un'ottica di contrapposizione tra forze dello Stato, tra Carabinieri, Vigili del fuoco e Corpo forestale. Assolutamente no. Bisogna semplicemente rendersi conto e prendere coscienza che c'era un corpo che in questi casi faceva anche coordinamento e si occupava di incendi non solo quando si verificavano, ma dal 1° gennaio al 31 dicembre. Quel corpo c'era e lo avete dilaniato e distrutto. Grazie a Dio e agli uomini, quel corpo si può però ricostituire. In merito, c'è una proposta a mia prima firma (che è oggi in discussione alla Camera dei deputati e porta la firma anche di colleghi non appartenenti a Fratelli d'Italia) e anche altre proposte (come quella dell'amico Cattoi del MoVimento 5 Stelle o quella depositata in Senato dalla collega Rauti) che ne chiedono il ripristino, proprio per evitare che questo Parlamento debba ancora intervenire su questi temi con provvedimenti spot, visto che la ricetta c'è ed è sempre esistita. Il prossimo anno il Corpo forestale dello Stato avrebbe compiuto duecento anni, ma nel 2016 una maggioranza parlamentare, nemmeno scelta dagli italiani, decise di privarsene. Ebbene, oggi, anziché votare provvedimenti spot, mettetevi una mano sulla coscienza e votate la proposta di legge che reintroduce il glorioso Corpo forestale dello Stato.