Di pochi giorni fa l'ordinanza del Tar della Lombardia, che accogliendo i contenuti del ricorso della Lega per l’abolizione della caccia (Lac) ha rimandato al giudizio della Corte costituzionale la Legge regionale 26/93 della Regione Lombardia su alcuni punti.
In particolare l’art. 43, comma 3, della legge regionale n. 26 del 1993 stabilisce che “la caccia è vietata sui valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell’avifauna per una distanza di mille metri dagli stessi; i valichi sono individuati dal Consiglio regionale su proposta della Regione o della provincia di Sondrio per il relativo territorio, sentito l’INFS, e esclusivamente nel comparto di maggior tutela della zona faunistica delle Alpi e devono essere indicati nei piani di cui agli artt. 12 e 14 e nei calendari venatori”. Invece, si legge nell'ordinanza del Tar, l’art. 21, comma 3, della legge statale n. 157 del 1992 si limita a stabilire che “la caccia è vietata su tutti i valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell’avifauna, per una distanza di mille metri dagli stessi”.
Sotto accusa anche l'art. 10, comma 3, il quale stabilisce che “il territorio agro-silvo-pastorale di ogni regione è destinato per una quota dal 20 al 30 per cento a protezione della fauna selvatica, fatta eccezione per il territorio delle Alpi di ciascuna regione, che costituisce una zona faunistica a sé stante ed è destinato a protezione nella percentuale dal 10 al 20 per cento. In dette percentuali sono compresi i territori ove sia comunque vietata l’attività venatoria anche per effetto di altri leggi o disposizioni”; l’art. 13, comma 3, lett. a, della legge regionale n. 26 del 1993 prevede, sulla falsariga del precedente, che “il territorio agro-silvo-pastorale della regione, la cui estensione è determinata con deliberazione della Giunta regionale, è destinato: a) per una quota dal dieci al venti per cento in zona Alpi e per una quota dal venti al trenta per cento nel restante territorio, a protezione della fauna selvatica; in dette quote sono compresi i territori ove è comunque vietata l’attività venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni comprese tutte le aree in cui l’esercizio venatorio è vietato dalla presente legge e, in particolare, dalle disposizioni di cui agli articoli 17,18, 37 e 43”. Secondo il Tar Il limite di territorio assoggettabile a tutela in favore della fauna selvatica – che può raggiungere al massimo il 20% per la zona alpina e il 30% per il restante territorio – risulta in (potenziale) contrasto con gli obiettivi di protezione della fauna selvatica (compresa l’avifauna), poiché si fonda su un dato meramente quantitativo che opera a prescindere dalle peculiarità del territorio e dalle eventuali ulteriori esigenze di tutela per le citate specie selvatiche che dovessero manifestarsi nel corso del tempo.
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