Riceviamo e pubblichiamo:
Ancora una volta abbiamo dovuto assistere sconcertati all’uso personale e propagandistico della televisione pubblica, in sprezzo a qualsiasi principio di democrazia e pluralismo di informazione, aggravato dalla diffusione di dati infondati e privi di riscontro. Episodi inaccettabili che vanno oltre il tema trattato e che non possono passare inosservati
Di formazione geologo – con un master in “tuttologia” visti gli argomenti più disparati su cui discetta – probabilmente è facile per lui avere un occhio rivolto al passato, ma sabato sera abbiamo assistito veramente a un salto indietro di decenni, trovando concentrati tutti i peggiori luoghi comuni e affermazioni diffamatorie sulla caccia e i suoi praticanti tipici di un periodo di scontri ideologici che anticaccia e ambientalisti estremisti tentano in ogni modo di rinfocolare, avvertendo che il vento per loro sembra essere finalmente cambiato.
A cantarsela e suonarsela rigorosamente da solo – evitando qualsiasi tipo di contraddittorio nella migliore tradizione delle trasmissioni propagandistiche spacciate per informazione – su RAI 3 il ben noto Mario Tozzi ha affrontato nella trasmissione “Sapiens” per l’ennesima volta il tema della caccia e del bracconaggio.
Con una partenza, buona ma non buonissima, su quella che per primi riconosciamo come una piaga, mescolando immagini di fucili a pallini ed elefanti morti ha comunque trovato il modo di affermare che fra le caratteristiche che connotano il bracconiere ci sono le opportunità, lasciando intendere che come le occasioni fanno l’uomo ladro così fanno anche il cacciatore bracconiere.
Si fosse fermato lì sarebbe stato uno scivolone, ci hanno detto di peggio. Ma ci ha pensato subito dopo, affrontando il tema dell’eticità o meno della caccia in Italia.
Qua ha trovato il modo di inserire anche un pizzico di lotta di classe – forse in omaggio all’eskimo con cui brandendo una piccozza appariva in trasmissione qualche tempo fa – affermando che secondo una non meglio dichiarata ricerca, vecchia ma ancora buona secondo lui, operai e ceto medio sarebbero contrari alla caccia, sostenuta invece da professionisti ed imprenditori.
Da qui, l’ineffabile professore, ha dato, letteralmente, i numeri di quello che a suo dire – suo, perché si è guardato bene dal citare alcuna fonte – è l’impatto sulle specie selvatiche dei cacciatori italiani, con un prelievo di ben 494 milioni di capi, abbattuti dai 600mila cacciatori italiani, che significa per ognuno di loro, di noi, ogni stagione di caccia la bellezza di 733 prede.
Un numero talmente assurdo, dato con il solo scopo di stupire chi ascolta, che non consente nemmeno di essere preso in considerazione come dato medio, ma che passato lo stupore fa compiere anche alcune riflessioni. Ammettendo pure che i numeri siano veri – e non lo sono – come si concilia questo dato con l’affermazione sempre di parte animalambientalista delle specie in sofferenza se non ormai a rischio estinzione? Per consentire di prenderne appena meno di 500 milioni ce ne dovrebbero essere poco poco almeno tre volte tanto. E allora come si concilia la presenza di 1 miliardo e mezzo di specie selvatiche – ma quali poi, una vale per l’altra basta che sia? Alla faccia del metodo scientifico! – con l’affermazione che la caccia le mette a rischio? Considerato poi che nessuna delle specie cacciate in Italia è in difficoltà e che anzi alcune godono di fin troppa salute – vedi cinghiali – cosa accadrebbe se non ci fosse il prelievo venatorio? Una risposta la possono dare gli appena citati cinghiali, che non cacciati a Roma ormai si abbeverano nella fontana di Trevi e a Genova si contendono la spiaggia con i bagnanti.
E poi la chiosa finale, per non farsi mancare nemmeno un pizzico di allarme sociale, recitata con giusto tono melodrammatico e sguardo intenso verso gli occhi del telespettatore, quando afferma che l’unica ragione per cui si va a caccia è il piacere di uccidere.
In realtà il problema è sempre il solito e non sono le pseudoverità raccontate da Tozzi e dai suoi tanti – troppi – “colleghi”. Il vero problema è che la libertà di pensiero e di opinione – sacrosanta anche nell’essere contro la caccia – non significa libertà di utilizzare per fare propaganda alle proprie idee un mezzo che dovrebbe essere al servizio di tutti i cittadini. Correttezza vorrebbe che quanto meno ci fossero uguali spazi per entrambe le posizioni. Cosa che non avviene mai e se avviene l’incontro di solito è comunque in qualche modo “truccato”.
Quello che sconcerta ulteriormente è lo spazio concesso con fin troppa ed evidente mancanza di pluralismo da una azienda che palesemente e con compiacenza non svolge il suo compito di Servizio Pubblico e ne ha da tempo perso i connotati.
Ancora una volta abbiamo prontamente segnalato a chi di dovere sia le dichiarazioni del conduttore – che sa di essere tranquillo perché in Italia non è reato diffamare una categoria – che l’Azienda che gli ha dato spazio e con le altre Associazioni della Cabina di Regia stiamo formalizzando la nostra protesta. Ovviamente siamo certi che non sarà sufficiente un richiamo – più volte avanzato – di correttezza professionale, ma dal momento che l’unico interesse ormai è quello di fare ascolti, ricorderemo alla direzione generale Rai e a quella di Rai 3 che l’ultima raccolta firme contro la caccia ha a fatica messo insieme poche decine di migliaia di sottoscrittori. Sono veramente sicuri che la maggioranza degli italiani è contro la caccia come gli raccontano Tozzi e i suoi amici?
Ufficio Stampa Federazione Italiana della Caccia