L'Enpa Trentino Alto Adige fa sapere che il Parco Nazionale dello Stelvio ha temporaneamente sospeso, rinviandone l'attuazione, il Piano di controllo del cervo, che prevede la riduzione di un terzo dei cervi in cinque anni nella parte trentina.
Il Piano sarebbe dovuto partire questo inverno e gli abbattimenti sono stati sospesi solo per permettere di organizzare un centro per la raccolta e la lavorazione della carne, ottima selvaggina che ovviamente il Parco intende poi mettere in vendita.
"Perché dalle uccisioni - per ridurne il numero con il fucile, invece che lasciare che i lupi li predino, come avviene in natura - si vuole anche ricavarne un introito economico" si lamenta Enpa, sottolineando che "solitamente i due termini “Parco Nazionale” e “abbattimento di cervi” sono incompatibili, perché nei parchi nazionali l’uccisione di animali selvatici è interdetta per norma di legge".
Qui l'anomalia è che Enpa non sappia che il controllo delle specie in sovrannumero è cosa ordinaria nella stragrande maggioranza dei Parchi e che da questa attività, spesso demandata ai cacciatori, deriva una parte dei loro incassi. A spazzare via le polemiche basta la dichiarazione dell'ex Presidente di Federparchi, Giampiero Sammuri, il quale, smorzando le polemiche sull'emendamento approvato dal Governo a dicembre, che a detta degli animalisti avrebbe aperto la caccia anche nelle aree protette, ricordò che già con le leggi vigenti è possibile svolgere attività di controllo della fauna selvatica in tali aree, e che nei soli parchi nazionali e regionali nel 2021 sono stati abbattuti o catturati e poi abbattuti oltre 16.000 cinghiali.
Il Parco dello Stelvio ha risposto ad Enpa, elencando tutte le motivazioni che hanno portato a questa decisione. In sintesi? "La densità dei cervi è troppo elevata. Ne conseguono danni da brucamento al bosco e alle colture agricole. E la dominanza del cervo va a scapito del capriolo, ma anche di altre specie faunistiche e pertanto riduce la biodiversità".
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