Alla fine dello scorso anno erano una cinquantina gli esemplari di muflone catturati all'interno dell'area protetta del Giglio e trasferiti al Centro di Semproniano ma anche nelle aree del reparto dei Carabinieri forestali della Marsiliana (Grosseto) e presso l'Oasi Dynamo di San Marcello Pistoiese (Pistoia), grazie ad un accordo ottenuto da Lav e Wwf contro gli abbattimenti. In questo contesto, che solo all’apparenza sembra aver riappacificato gli animi e accontentato tutti (inizialmente il Parco ne aveva disposto l’abbattimento), emergono particolari per nulla rassicuranti.
Al punto che per alcuni esemplari viene il dubbio che forse sarebbe stato meglio un colpo secco di fucile, dato che stando a quanto emerge da un approfondimento di SaveGiglio.org, c’è stato un alto tasso di mortalità dopo le catture dovuto ad una delle metodologie utilizzate: i lacci. In generale non c’è dubbio che questo metodo, regolarmente previsto dal progetto Life Ue LetsGo Giglio, possa essere pericoloso per la sorte dell’animale stesso, dando un tasso di mortalità in fase di cattura intorno al 20%.
Ed infatti a novembre 2022, lo stesso ente Parco dichiarava “in fase di cattura o immediatamente dopo, prima della traslocazione, sono deceduti 9 capi” . Il laccio può causare mutilazioni, fratture e miopatie che possono portare a morbilità e mortalità, oltre che stress da cattura, responsabile spesso di conseguenze organiche e immunitarie anche letali per l’animale. L’animale può morire in fase di cattura o nei giorni o nelle settimane successive, dopo grandi sofferenze. Siamo sicuri che siano questi i metodi ecologici?
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