Arci Caccia interviene sulla vicenda della recente aggressione mortale causata dalla femmina di Orso bruno “Jj4” nei confronti di Andrea Papi. "Come comitato scientifico Arci Caccia intendiamo esprimere alcune brevi considerazioni al fine di fornire gli strumenti per formarsi una opinione basata sulla normativa vigente e sui dati scientifici. Riteniamo funzionale valutare le azioni da intraprendere affinché la probabilità di episodi di aggressione verso l’uomo sia ulteriormente ridotta". Di seguito le considerazioni pubblicate:
"L’Orso bruno (Ursus arctos) è una specie particolarmente protetta in base a leggi Nazionali ed Internazionali:
- Convenzione di Berna, ratificata dall’Italia con la Legge n.503/81, specie rigorosamente protetta (Allegato II).
- Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione (Normativa CITES), resa esecutiva dall’Italia con Legge n.150/92 e modificata dalla Legge n.59/93, integrata dal decreto legislativo 275/01, (Appendice II).
- Direttiva Habitat 92/43/CEE (recepita dall’Italia con DPR 8 settembre 1997 n.357, modificato e integrato dal DPR 12 marzo 2003 n.120) quale specie di interesse comunitario che richiede una protezione rigorosa (Allegato IV).
- Legge nazionale 11 febbraio 1992 n.157 inserisce l’Orso bruno tra le specie particolarmente protette (Art. 2, comma 1).
In Italia l’Orso bruno è presente sulle Alpi, in particolare in Trentino, a seguito di un progetto di reintroduzione avviato sul finire degli anni ’90, che ha portato oggi alla presenza di una popolazione stimata superiore alle 100 unità. In Appennino centrale l’Orso bruno non si è mai estinto ed è presente con la sottospecie Ursus arctos marsicanus con una popolazione limitata a circa 60 individui. All’interno delle aree protette i regolamenti relativi alla fruizione delle aree di presenza della specie sono molto stringenti. Inoltre è necessario sottolineare che nell’areale di distribuzione dell’Orso marsicano la densità abitativa è molto più bassa rispetto al Trentino Alto Adige, e che le aggressioni di Orso marsicano sono rarissime, anche alla luce di un comportamento meno aggressivo, come dimostrato da un recente studio di Benazzo et al. (2017).
Detto questo, riteniamo che l’Orso debba essere tutelato e gestito rigorosamente e una delle principali minacce alla sua conservazione è la sottovalutazione del rischio che genera episodi come quello di cui si discute. In caso di gravi eventi di aggressione il governo del territorio e il mondo scientifico sono concordi sulla necessità di rimuovere l’animale che ha ucciso una persona. Che questo venga effettuato con cattura e successivo confinamento o abbattimento ha poca importanza, è una scelta di tipo operativo che è giusto venga valutata da chi di competenza. Come ci si debba comportare in questi casi è molto chiaro anche nel caso in cui l’episodio sia stato causato da una femmina, come nel triste caso di cronaca in oggetto, della quale non sappiamo ancora se fosse con o senza piccoli al seguito.
Da un punto di vista gestionale e conservazionistico, la tutela della specie deve rimanere la base su cui confrontarsi, ma nel rispetto delle comunità di persone che vivono in quelle montagne.
Questi principi e le azioni attraverso cui declinarli nel contesto alpino sono stati pubblicati nel Piano d’azione interregionale per la conservazione dell’orso bruno nelle Alpi centro-orientali (PACOBACE – Ministero dell’Ambiente ISPRA, 2010). Questo piano d’azione, che ha 13 anni ed è stato formalmente recepito da tutte le Amministrazioni territoriali (Regioni e Provincia autonoma di Trento) delle Alpi centro Orientali, indica che per assicurare la coesistenza dell’Orso con l’uomo è necessario attivare politiche gestionali efficaci da parte delle amministrazioni locali e statali competenti. Questo documento, quindi, rappresenta ancora la formale politica dello stato Italiano in materia di conservazione e gestione dell’Orso nelle Alpi. Il piano contiene indicazioni dettagliate circa le misure da adottare per prevenire e risarcire i danni causati dall’Orso, le più opportune misure di intervento sugli esemplari problematici, la struttura delle campagne di informazione e comunicazione, la formazione del personale, ed il monitoraggio della popolazione.
Di fronte al tragico evento dei giorni scorsi, considerato dagli esperti come estremamente improbabile, ma che è accaduto, è indispensabile che il dibattito debba necessariamente svilupparsi partendo da questi ineluttabili quesiti.
Perché le misure e le azioni previste nel PACOBACE non sono state realizzate?
Chi non ha colpevolmente dato seguito alle indicazioni del Piano? Perché?
Non possiamo permetterci un altro caso di aggressione. Ora è il momento di attuare tutti i protocolli già previsti nel PACOBACE in casi di questo tipo ed è altresì legittimo valutare un approfondimento sulle azioni di prevenzione fino ad oggi attuate. Ad esempio, modificare le regole di accesso alle aree a densità più elevata di orsi, soprattutto in periodi in cui vi è la presenza di cuccioli. Potenziare la comunicazione sulle norme di comportamento da tenere in caso di incontri, consapevoli che una cosa è sapere come ci si comporta, ed un’altra è attuarla correttamente nel momento della necessità. Creare mappe di rischio basate su modelli statistici e definire una densità oltre la quale bisogna valutare la traslocazione di soggetti al fine di ridurre la probabilità di incontri pericolosi.
È bene, infine, ricordare che l’opzione dell’abbattimento-rimozione di soggetti di una specie particolarmente protetta è il risultato del fallimento delle attività di prevenzione, che a volte possono risultare impopolari, ma servono ad evitare la situazione di cui stiamo discutendo.
Comitato Scientifico Arci Caccia “Laura Conti – Carlo Fermariello”
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