Il 15 luglio, scorso è accaduta una tragedia familiare ad
Artena, a sud della capitale. Un uomo di 49 anni ha sparato al fratello di 58 uccidendolo sul colpo ed è stato arrestato dai carabinieri della locale stazione con l'accusa di omicidio volontario.
L'uomo ha sentito alcuni rumori sospetti nell'orto: è uscito, ha impugnato il fucile regolarmente detenuto ed ha sparato in direzione dell'ombra che intravedeva. Il proiettile ha raggiunto alla testa il fratello uccidendolo.
Pur esprimendo tutto il rammarico per il grave incidente accaduto,
è deplorevole leggere il commento presente su un famoso social network, rilasciato dalla rappresentante dell'Associazione Vittime della Caccia
Daniela Casprini (peraltro simpatizzante ( iscritta??) alla
PETA, nota organizzazione di stampo vegano, accusata anche di aver finanziato gruppi ecoterroristi, generalmente condannati dall'opinione pubblica),
che accomuna tutti i cacciatori a degli irresponsabili sparatori: "Voi cacciatori – così scrive - usate le armi da caccia con fin troppa facilità, appena vedete muovere qualcosa e questo caso è il classico esempio. E anche i dati extra stagione sono dati rilevabili e indicativi. Scomodissimi per voi perché indicatori di quanta irresponsabilità ci sia in questa categoria."
Ovviamente, accuse del genere denotano
l'inqualificabile faziosit�di un organizzazione che
per fare numero (e cassetta) mette insieme delitti dolosi e colposi, notificandoli direttamente o indirettamente tutti come “incidenti di caccia”.
Non sarebbe più giusto, ci domandiamo noi, se invece di sbattere i morti alla ribalta in modo così strumentale ed irrispettoso per le famiglie colpite da questo tragico accadimento, tutti insieme ci domandassimo
il perchè di quello che è accaduto il 15 luglio a caccia chiusa? Forse ragionando su questo in modo pacato e sereno ci accorgeremo che i mali sono altri.