Sulla Sentenza del TAR Brescia contro CAC Prealpi, che ha annullato la quasi totalità del regolamento per la caccia al cinghiale, intervengono i legali dei 73 cacciatori vincitori del ricorso.
In una nota, diffusa dall'agenzia TheSkill, gli avvocati Antonio Bana, Antonio Papi Rossi e Nicola Ferrante, commentano la vicenda. Secondo i legali “un autogol, che è anche un assist ai dirigenti regionali che finalmente potranno, con certezza, chiarire che l’ordinanza non può tradursi nella proposta di esproprio dei punti sparo con gestione a turnazione, così come tristemente richiesto dal CAC”.
“Appare evidente in ogni caso l’inadeguatezza creatasi nel contesto del comitato sia sul piano giuridico che faunistico. – spiegano gli avvocati – Il CAC si pone come unica nota stonata, in antitesi al coro globale del resto dei cittadini, che chiedono il depopolamento del cinghiale. I cacciatori di selezione, al contrario, con i circa 1.500 capi abbattuti nel 2023, si sono dimostrati il più valido strumento per il contenimento di questa specie nociva e invasiva”.
“È logico – aggiungono Bana, Papi Rossi e Ferrante – immaginare che Regione Lombardia, alla quale peraltro i giudici ordinano di eseguire la sentenza in esame, non potrà che prendere atto dell’illegalità formale degli atti del CAC di allora e di oggi, e dell’inadempimento del Comitato all’intimazione del 29 giugno scorso, procedendo senza indugio al commissariamento del CAC”.
Oltre a proseguire l’azione a tutela dei loro diritti in ogni sede di qualsiasi tribunale competente, i ricorrenti valuteranno l’azione legale personale ai sensi del libro 1, t.2, c.3 del Codice Civile, nei confronti dei membri del comitato deliberanti, per lo spreco delle risorse appartenenti ai cacciatori soci del CAC, destinate a ben altre finalità. La stima dell’importo è intorno ai 40.000 € tra onorari e rifusione spese.
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