Il Tar del Lazio in questi giorni ha spiegato i motivi dell'accoglimento del ricorso di Wwf, Enpa, Lav e Lipi-Birdlife Italia contro il decreto del Ministro dell'ambiente del 22 gennaio 2009 (annullato) che andava a modificare il decreto ministeriale 184 17/10/2007 in merito alle misure di conservazione nelle Zps e Zsc voluto da Pecoraro Scanio.
L'annullamento di alcune disposizioni contenute in quest'ultimo “palesa – spiega il Tar - un evidente duplice profilo di illegittimità: da un lato per la violazione della disciplina pattizia internazionale (Accordo sulla conservazione degli uccelli acquatici migratori dell'Africa - Eurasia, Aewa) e della normativa comunitaria di riferimento (cd. Direttiva habitat 92/ 43/CEE e cd. Direttiva uccelli 79/ 409/CEE), entrambe recepite in via legislativa nel nostro ordinamento”, dall'altra per un vizio di eccesso di potere per sviamento dall'interesse pubblico perseguito dalla norma.
Il Tar in particolare ritiene una violazione della Direttiva Uccelli la soppressione dell'articolo 5 , che in realtà toglieva il limite di due giorni per la caccia nelle Zps e Zsc, consentendola per un giorno in più a gennaio. I limiti imposti dalla direttiva al prelievo venatorio “devono riguardare – scrive il Tar - anche le specie non protette, anche in relazione alle problematiche del disturbo delle altre specie non cacciabili e della caccia alle specie somiglianti, ed anche alla stregua del criterio di "coerenza ecologica" posto dagli articoli 2 e 3 della cd. Direttiva habitat 92/43/ CEE”.
Il provvedimento poi è stato ritenuto irragionevole e in contrasto con due pareri del 2008 dell'Ispra (già Infs - Istituto per la fauna selvatica), secondo il quale "nei mesi di gennaio e febbraio si determina il peggioramento delle condizioni climatiche, spesso estreme, con un incremento della mortalità naturale sulle popolazioni selvatiche, che impone di limitare il prelievo venatorio su esemplari che hanno già superato la selezione naturale e che sono, quindi, potenziali riproduttori della propria specie".
Il Tar ha ritenuto illegittima anche anche la modifica dell'art. 2 e dell'art. 5, del decreto del ministro dell'Ambiente del 17 ottobre 2007 che prevedeva il rinvio all'anno venatorio 2008/2009 del divieto di utilizzo di munizioni a pallini di piombo nelle zone umide. “La proroga – è detto - viola la legge 66/2006 che recepisce l'Accordo sulla conservazione degli uccelli acquatici migratori dell'Africa - Eurasia «il cui Piano d'azione previsto dall'art. 4 contempla (art. 4.1.4) l'impegno delle Parti contraenti a sopprimere l'utilizzazione dei pallini di piombo per la caccia nelle zone umide, in considerazione della tossicità del piombo per gli uccelli acquatici, per il loro ambiente e per la stessa salute umana"; secondo il Tar "la proroga in esame palesa la propria manifesta irragionevolezza anche avuto riguardo alla mancata considerazione dei possibili effetti tossici dell'inquinamento da piombo per l'ambiente e per la salute umana, pur adeguatamente evidenziati dai citati pareri resi dall'Ispra" e evidenzia che la proroga in realtà riguardava un divieto "che era in realtà già in vigore fin dalla stagione venatoria in corso, con il conseguente rischio che il provvedimento ministeriale in esame possa tradursi in una immotivata ed indiscriminata sanatoria di inadempimenti e violazioni di un obbligo già introdotto dal precedente decreto ministeriale sulla base di una espressa previsione di legge".
E' stata ritenuta illegittima anche la modifica dell'art. 6, paragrafo 13, del decreto del Ministro dell'Ambiente 17 ottobre 2007, che cancella il divieto di attività venatoria precedente al 1° ottobre (con eccezione degli ungulati) per le Zps caratterizzate da valichi montani, perché l'abolizione «risulta solo apparentemente bilanciata, dalla stessa norma, con il richiamo all'art. 21, comma 3, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, che vieta in modo assoluto, per un raggio di mille metri, la caccia su tutti i valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna" e perché i pareri dell'Ispra evidenziano «la mancata puntuale individuazione dei valichi in Italia, in ogni caso i flussi migratori non seguono percorsi lineari, costanti e circoscritti ma, al contrario, variano in relazione alla morfologia del territorio, alle diverse specie ed alle specifiche condizioni meteorologiche, e quindi interessano ampie aree delle ZPS, non delimitabili a priori entro il previsto raggio di mille metri dal valico”.
(Greenreport)