Cacciate la caccia
Oggi parte la stagione venatoria. Speriamo che non torni più.
Non mi pare che avessimo bisogno del rumore di ulteriori spari, ma oggi, sciaguratamente, saremo costretti ad accettarne altri. Molti, troppi, sparsi, sconclusionati e blasfemi in giro per campagne, radure, canneti, costoni a macellare i pochi residui di silenzio e un po’ di carne tanto innocente da viva quanto inutile da morta.
Il lugubre, scellerato carnevale di un delirante divertimento si compirà tra i pum-pum dei fucili e i bau-bau dei cani allenati, ma non si tratterà di un cartone animato. Si sprecheranno chissà quante risate per mire barcollanti e chissà quali complimenti per panieri ricolmi. Ferme magistrali e riporti degni di antiche stampe inglesi serviranno per le celebrazioni degli unici animali che si salveranno nella festa dell’ammazzamento.
Qualcuno che capisce di caccia, dopo avermi raccontato di Artemide, dea della caccia, delle iscrizioni dei cavernicoli e dell’unica fonte proteica dell’uomo appena diventato sapiens, mi spiegherà pure l’attualissimo sfondo ecologico dell’eliminazione delle sovrabbondanze. E io mi annoierò per i paleosimboli, per le antiche allegorie, per i neosignificati.
Provo il più doloroso senso di nausea all’odore della polvere da sparo, di scoppi, di sangue incidentale o intenzionale che sia. Tutto è follia su questa terra. Il mondo meriterebbe di essere ridisegnato, l’uomo dovrebbe essere riarchitettato cominciando dal rispetto di ciò che riusciamo ad avvertire con i nostri sensi. Si potrebbe iniziare con un leprotto che attraversa il sentiero, un uccellino che scompiglia la simmetria di uno stormo, un cinghiale con la sua esigenza di libertà, uno stambecco ignaro del «big hunter». Mi corre l’obbligo di una eccezione per il glorioso, irripetibile fagiano natalizio che, ogni dicembre, si suicida nella padella di Anna Maria tra burro, magici ingredienti e segreti adatti alla meraviglia. Per questo mi si perdonerà.
«La morte è una delle componenti dell’ordine dell’universo», diceva Montaigne. Certo, la morte, ma non gli eccidi organizzati. Né di animali disarmati, né di ragazzi anche se armati. Chi ha un avanzo di cuore ha il dovere di stupirsi per ogni singola vita tolta con uno sparo. La biologia è già così terribilmente dura e crudele che non mi sembra ci siano giustificazioni per chi le dà una mano. Dobbiamo arrenderci. L’uomo è una bestia, l’animale mai.
Una risposta d'eccellenza da Libera Caccia:
Mina e il fagiano in padella
La grandissima cantante, di cui da tempo non si hanno più immagini, è “ricomparsa” con un intervento sulla caccia lanciato in taglio basso sulla prima pagina de La Stampa di Domenica 20 settembre, giorno dell’apertura ufficiale dell’attività venatoria.
La cantante non la prende certo alla lontana ed esordisce con franca brutalità: “Oggi parte la stagione venatoria. Speriamo non torni più”. E partendo da questa premessa, prova a spiegare, con una prosa indubbiamente piacevole, perché odia così tanto la caccia. “Molti, troppi spari …a macellare i pochi residui di silenzio e un po’ di carne tanto innocente da viva quanto inutile da morta”. E continua, di questo passo e su questi toni, rispolverando i bau bau dei segugi e ironizzando sulle “ferme magistrali e riporti degni di antiche stampe inglesi”. Poi si addentra leggermente negli aspetti tecnici e scientifici del moderno prelievo venatorio, mettendo in discussione la presunta utilità di questa attività e vagheggiando poeticamente di “leprotti che attraversano i sentieri e di un cinghiale con la sua esigenza di libertà”.
Infine conclude con una dotta citazione di Montaigne: “La morte è una delle componenti dell’ordine dell’universo”, per affermare che un conto è la morte, e un conto sono gli eccidi organizzati. “Né di animali disarmati, né di ragazzi anche se armati. La Biologia è già così terribilmente dura e crudele che non mi sembra ci siano giustificazioni a chi le da una mano”!
Insomma, un grande esercizio di buonismo animalista che sconfina nel pacifismo universale. Ma c’è un piccolo e insignificante però. Perché la grande cantante (che stando ad alcune immagini, sembra non disdegnare le pellicce) sente l’obbligo di fare un’eccezione: “Per il glorioso, irripetibile fagiano natalizio che, ogni dicembre, si suicida nella padella di Anna Maria tra burro, magici ingredienti e segreti adatti alla meraviglia”!!!!
A questo punto, tutto è più chiaro. Molto più chiaro. Il fagiano natalizio che fa capolino nella sua memoria e che tanta acquolina le suscita in bocca, non è stato abbattuto da un cacciatore con il suo cane da ferma e da riporto come in una antica stampa inglese; né è stato ucciso da un abile macellaio in camice bianco. No, quel fagiano mirabilmente spadellato dalla sua abilissima amica, si è semplicemente suicidato e, quindi, non fa parte di quella “povera carne tanto innocente da viva quanto inutile da morta”.
Grazie Mina, sei un mito!
L’UFFICIO STAMPA (ANLC)