Secondo i dati presentati dal Parco dell'Arcipelago toscano, nel 2009 le catture di cinghiali tramite le apposite trappole sono aumentante del 30 per cento rispetto allo scorso anno. In particolare, viene affermato da un articolo di Greenreport, sull'Isola D'Elba sono stati catturati 1.050 esemplari attraverso 62 trappole, molti più, si dice nel pezzo, di quelli presi “dai 300 cacciatori che si dedicano all'Elba a questo tipo di caccia”.
“L'incremento delle catture - spiega Giacomo Montauti, un biologo del parco - è stato probabilmente causato da condizioni meteorologiche favorevoli (contraddistinte da scarse precipitazioni), ma soprattutto da un notevole miglioramento della capacità operativa della ditta concessionaria”.
Nella nota ci si chiede maliziosamente come mai i selecontrollori risultino molto più efficienti con la caccia ai mufloni “dopo un corso di formazione ad hoc e due anni di sperimentazione i 46 selecontrollori iscritti all'albo del parco nazionale nel 2009 hanno abbattuto in tutto 174 cinghiali, ma se si va a vedere i numeri forniti dal parco 9 di loro non hanno preso neppure un animale ed i 15 "più bravi" hanno abbattuto 133 cinghiali (circa il 77% del totale)”.
Secondo Greenreport sui selecontrollori peserebbero le pressioni delle squadre di caccia al cinghiale che non vedrebbero di buon occhio gli abbattimenti selettivi, per avere cinghiali in abbondanza. Gli stessi cacciatori vengono quindi accusati di essere gli autori di una continua ed organizzata attività di “sabotaggio vandalico delle trappole”.
Da qui la deduzione che “i cacciatori non sono la 'medicina' per guarire una malattia causata da una politica venatoria fatta da immissioni indiscriminate” e che al loro intervento “si deve associare un'opera di cattura che coinvolga enti pubblici, agricoltori e cittadini”.
“L'ente pubblico – conclude Greenreport - deve pagare il prezzo di una cattiva gestione faunistica e dell'introduzione di animali per scopi "sportivi" che si è trasformata presto in un problema ambientale e di salvaguardia dell'agricoltura. E magari poi sentirsi dire dai cacciatori che se ci sono tanti cinghiali è colpa del parco che ne cattura molti più di quanti loro ne abbattano con la libera caccia e come selecontrollori”.
A nostro avviso, comunque, gli squilibri gestionali a cui si fa riferimento, dipendono dal fatto che i parchi sono gestiti sulla base di una errata filosofia “animalista”, che non contempla armonicamente tutte le competenze espresse dal territorio, caccia compresa. E per di più, gli sbandierati successi hanno un costo, mentre se si operasse in stretto collegamento con agricoltori e cacciatori, tutto si potrebbe ottenere più o meno a costo zero. Basterebbe ad esempio prevedere una gestione complessiva del territorio (a parco e non a parco) per varare politiche faunistiche molto più efficaci e rispondenti alle di verse esigenze. Negli ATC, è bene ricordarlo, le decisioni vengono prese quasi sempre all'unanimità, con l'adesione anche dei rappresentanti degli ambientalisti.