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“Se qualcuno mi chiede perché vado a caccia rispondo semplicemente che
sono nata cacciatrice”. Così
Cristina Ceschel, 23 anni di Caneva (Pordenone) spiega la sua passione.
Da bambina non pensava ad altro: “ogni giorno – spiega - giocavo a cacciare lepri e fagiani tanto da costringere mia madre a prendermi il primo fucile giocattolo a 2-3 anni d’età”. Il padre, per ovvie ragioni di sicurezza, ha dovuto evitare di portala con lui a caccia fino a 16 – 17 anni, poi finalmente è arrivato il tempo della licenza e ora non si fa mancare nulla: caccia ai cinghiali e ai cervi in selezione, alla fauna stanziale con i cani da ferma, ma si dedica anche alla beccaccia, alle allodole e agli anatidi.
“Per me la caccia – dice Cristina alla nostra redazione - non è solo una forte passione ma è una parte fondamentale della mia vita”, tanto che per praticarla ha rinunciato a cercare un impiego nel settore della ristorazione e del turismo, ramo in cui si è specializzata, così da potersi dedicare alle uscite venatorie la domenica.
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“E' grazie alla caccia – spiega - che riesco a provare
emozioni uniche (per esempio vedendo il mio cane in ferma o assistendo allo scovo della lepre), che con altre attività forse non avrei mai scoperto”. Nel tempo, poi,
ha imparato a fidarsi di più di sé stessa e del suo intuito e ad incementare forti legami con i suoi cani. Che considera prima di tutto suoi "amici". A caccia Cristina ha trovato anche l'amore: visto che il fidanzato, immancabilmente cacciatore, lo ha conosciuto proprio accompagnando il padre in una delle sue uscite. I cacciatori devono farsi rispettare e far valere i propri diritti ma per farlo, ci ha spiegato Cristina, occorre
riscoprire il valore dell'unità. “Prima di tutto – per esempio - imparando a
rispettarci l'uno con l'altro senza fare discriminazioni sul tipo di caccia che si pratica”.
E poi bisognerebbe riportare alla luce la sua vera essenza, ossia quella di “ristabilire le giuste densità delle popolazioni animali, ormai danneggiate dalla stupidità dell'uomo”. “Basta aggirarsi per le campagne – spiega Cristina Ceschel - per vedere come siano state invase da corvidi, gabbiani e altri uccelli che oltre a provocare danni all’agricoltura, recano danno ai piccoli uccelli migratori e non, distruggendo nidi e mangiando i pulcini. Tutto questo perchè non si pensa ad un intervento serio sulle specie cosiddette opportuniste.
Basterebbe poi, si sfoga Cristina “vedere come è tenuto l’ambiente: non ci sono più siepi, sono usati centinaia di prodotti chimici, si pensa solo a costruire nuove strade, centri commerciali, case, fabbriche zone industriali che magari stanno là decenni vuote, ma l’importante, per molti, è ricoprire ogni fazzoletto di terra con una colata di cemento, chi se ne importa poi se gli animali perdono il loro habitat”.
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Se ci sono meno animali, troppo spesso si parla di
pressione venatoria. “Ѐ molto più facile – sostiene- e meno costoso dare la colpa ai cacciatori”. Ma per avere più biodiversità “bisogna – spiega - imparare prima di tutto a
prendersi cura dell’ambiente dove viviamo incentivando la trasformazione delle vecchie e disabitate zone fabbricate in nuovi terreni magari coltivati con colture a perdere per gli animali, ripristinando le siepi, usando meno prodotti chimici per l’agricoltura e puntando magari di più l’agricoltura biologica”.
La riprova sta nel fatto che “in altri paesi dove sono più sensibili a queste tematiche, come per esempio in Svizzera e in Germania - conclude Cristina - ci sono molti più animali e si caccia anche di più!”.
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