Giorgio Mastaglia, 22enne della Val Camonica (BS), considera la caccia più che una normale passione. “E'
il modo migliore per vivere il proprio territorio, per godere delle bellezze della natura, una grande fonte di soddisfazione personale e
un sicuro rifugio dalla logorante vita di tutti i giorni”, ci spiega. Anzitutto perchè tiene occupati tutto l'anno: come quando, ricorda il giovane cacciatore, “
si sale in montagna a binocolare i camosci, i cervi e i caprioli” o “si va a vedere i forcelli in amore”. Alla dea Diana sono legati anche altri interessi di Giorgio come il tiro a segno (anche con fucili ex ordinanza), il tiro a volo e
l'incisione sul legno.
Anche se ha ereditato la passione dal ramo materno della famiglia, di antiche tradizioni venatorie, molto di quello che sa sulla natura lo deve anche al padre, ex guardia forestale, non molto incline alla caccia, che da bambino lo ha guidato alla scoperta delle marmotte, dei galli forcelli, dei camosci in amore, insegnandogli a riconoscere gli animali mimetizzati nel loro ambiente. Il resto lo hanno fatto i cugini cacciatori, che fin da giovanissimo lo hanno portato a caccia. Oggi pratica prevalentemente la caccia di selezione, specialmente in montagna. Ha una passione particolare per i forcelli, le coturnici e la caccia alle pernici bianche con il setter inglese, ma ogni tanto non disdegna “qualche colpo al volo alla migratoria”.
Così giovane Giorgio fa già la sua parte negli organi di gestione venatoria della sua zona all'interno della
commissione per l'avifauna tipica nel Comprensorio Alpino C2, Alta Valle, dove si portano avanti principi di salvaguardia dell'ambiente e della fauna. “C'è chi – dice – non lo riesce a capire. Se non ci fossero i cacciatori – spiega -
certe specie si moltiplicherebbero a dismisura creando notevoli danni alle attività umane”. Non è solo il caso del cinghiale ma anche delle cosiddette specie nocive e opportuniste, come la volpe le cui densità elevate sono un
pericolo per la diffusione della rabbia e un danno per la selvaggina stanziale.
Uno di questi problemi lo si riscontra con i cervi dell'Alta Val Camonica (compresa nel territorio del Parco Nazionale dello Stelvio). Da quando c'è il parco, riferisce Giorgio, sono iniziati i problemi anzitutto per gli stessi animali, che – spiega- “soffrendo di forte consanguineit�non riescono a sviluppare trofei nella norma e faticano a trovare cibo a sufficienza nei mesi invernali”. Una situazione di sofferenza dovuta anche all'opposizione degli ambientalisti all'ipotesi di intervenire con prelievi selettivi, con il risultato – sottolinea Giorgio Mastaglia che “nell’inverno 2008/2009 molti cervi sono stati condannati a morire di fame e di stenti perché non c’era cibo a sufficienza per tutti; uno scempio che non sarebbe accaduto se fosse stata attuata una selezione seria e mirata”.
Tra i suoi ricordi più preziosi c'è quello del primo capriolo abbattuto sulle sue montagne:
“Era una mattina di inizio settembre, ma faceva già freddo. La cima delle montagne era già bianca per la prima neve fioccata. Mi trovavo quasi a quota 2000mt accompagnato da mio cugino e una leggera nebbiolina saliva e scendeva lasciando i vestiti umidi. Ci eravamo appostati sotto ad un abete bianco nella speranza di vedere un becco di capriolo della cui presenza eravamo sicuri. Eravamo in attesa da molte ore ma nulla si muoveva, quando ad un tratto vidi con la coda dell’occhio un movimento nella radura davanti a noi, era il becco che ritornava nel bosco dopo la pastura mattutina; mio cugino avendo subito notato che era il “nostro” becco telemetrò prontamente, non era un tiro semplice erano trecento metri, io cercai subito un appoggio il più stabile possibile, ma dovetti accontentarmi di un ramo dell’abete bianco, tolsi la sicura alla carabina mirai alla spalla “in quel momento non pensavo a niente, pensavo solo a stare il più fermo possibile, dopo qualche secondo trattenni il fiato e lasciai partire il colpo; la botta del 7 millimetri magnum squarciò la quiete della montagna, automaticamente ricaricai l’arma, ma mio cugino senza togliere gli occhi dal binocolo con voce sicura mi disse in dialetto “Brao, brao te l’e ciapat ‘n pieno”.
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