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157: chiarimenti sull’eptalogo


giovedì 18 settembre 2008
    

chiarimenti eptalogoSull’eptalogo elaborato dalla Federcaccia per favorire la discussione in vista della auspicata modifica della 157 (vedi BigHunter.it 157: ecco l’eptalogo) pubblichiamo una esplicitazione punto per punto, elaborata dall’Avvocato Innocenzo Gorlani, autorevole giurista e massimo esperto in giurisprudenza venatoria.

 

1. Il primo punto sottolinea, innanzitutto, l’attualità della legge 157/92 che costituisce “un riferimento avanzato di pianificazione e programmazione del settore faunistico – venatorio”. In effetti, poiché scopo dell’aggiornamento normativo è l’introduzione nel nostro ordinamento della biodiversità (intesa come pluralità di forme di vita animale e vegetale) quale valore strategico per l’Unione Europea, la proposta legislativa che mi riservo di formulare non può non ispirarsi a questo valore. Come? Adeguando gli strumenti della pianificazione e programmazione disciplinati dagli art. 10 e 14 della legge 157/92, rendendogli idonei a recepire le previsioni delle direttive “Uccelli” e “Habitat” in punto di tutela degli habitat e delle specie selvatiche.
In particolare il territorio agro – silvo – pastorale (in sigla TASP) deve ricomprendere anche le Zone di Protezione Speciale (ZPS) e Zone Speciali di Conservazione (ZCS: locuzione comprensiva dei SIC e dei pSIC relativi alle fasi preparatorie delle stesse Zone). Nella nozione di TASP – che manca nella legge 157 – si inseriscono anche i territori delle ZPS e ZSC perché oggetto della pianificazione faunistico – venatoria è “tutto” il territorio agro – silvo – pastorale (art. 10, comma 1).
A questo fine contemplerei l’elenco dei contenuti del piano faunistico – venatorio con le lettere C1) e C2) del comma 7 dell’art. 10: la prima riferita alle ZPS della direttiva “Uccelli”, la seconda alle ZCS della direttiva “Habitat”.
Per quanto attiene alle misure di conservazione degli habitat e delle specie selvatiche, il piano faunistico – venatorio prevederà quelle più idonee a garantire la tutela degli habitat o il loro ripristino a seconda dello stato in cui si trovano e conservare le specie selvatiche mediante appropriate prescrizioni. Laddove necessario od opportuno, il piano potrebbe prescrivere la elaborazione di piani di gestione , da affidare all’ente gestore delle ZPS e ZSC.
Stante la molteplicità e importanza degli scopi del piano faunistico – venatorio, anche in considerazione dei compiti gestionali di cui può farsi carico, potrebbe essere denominato piano faunistico tout court.

Proposta: si modifica l’art. 10 nei termini appena visti.

2. Il secondo punto. Se l’obbiettivo è la biodiversità, il piano faunistico – venatorio diventa lo strumento di pianificazione di un settore che abbraccia tutte le risorse biologiche, naturalistiche e seminaturalistiche, floristiche del TASP e legittima conseguentemente le attività antropiche che non contrastino con tale obbiettivo. Poiché una corretta nozione di biodiversità non contrasta per principio alle attività dell’uomo che si sono dimostrate utili o necessarie alla sua sopravvivenza o alle sue esigenze economiche o culturali – eccettuate soltanto quelle meramente distruttive – si tratterà di stabilire modalità di sfruttamento delle risorse tali da mantenere un adeguato, se non ottimale, equilibrio ecologico: in una parola si deve puntare ad una fruizione compatibile delle risorse del TASP, a cominciare da quelle faunistiche, di cui la programmazione deve garantire condizioni di praticabilità. Rientra in questo quadro anche la fruizione venatoria (come quella agricola, sportiva, ludica, terziaria, ecc…). E’ evidente che il problema della fruizione non si porrà per le zone vietate alla caccia (quali sono le oasi di protezione, le zone di ripopolamento e cattura, i centri pubblici di produzione della fauna selvatica, dove la caccia è vietata perché incompatibile con le finalità degli istituti), ma specificatamente per quelle zone in cui la fruizione delle risorse faunistiche è ammessa a condizione che non si pregiudichino gli obbiettivi di protezione, conservazione e ripristino degli habitat e delle specie (è il caso, appunto, delle ZPS e ZSC). Le direttive “Uccelli” e “Habitat” si esprimono proprio in questi termini, come testimoniano gli interventi recenti dei Commissari all’ambiente della UE finalizzati a chiarire le finalità delle ZPS e ZSC.
La normativa nazionale deve fare proprie e perseguire queste finalità, superando la angusta polemica dell’equiparazione delle ZPS e ZSC ai parchi e alle riserve naturali con il conseguente divieto assoluto di caccia e di altre attività.

Proposta: stabilito che le ZPS e ZSC sono parte integrante del territorio agro – silvo – pastorale, Rete Natura 2000 entra a pieno titolo nella pianificazione/programmazione faunistico/venatoria. Basterà aggiungere la (nuova) lettera i) all’elenco dei contenuti del piano faunistico – venatorio in cui si enuncia il principio anzidetto (fruizione della fauna selvatica compatibile con gli obbiettivi di conservazione degli habitat e delle specie selvatiche).

3. Terzo punto. Il piano faunistico – venatorio – secondo l’art. 14, comma 1, della legge 157 – ripartisce il TASP in ambiti territoriali di caccia (in sigla, ATC), di dimensioni sub provinciali, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali. L’articolazione in ATC è stata una scelta coerente con l’impostazione della legge e mantiene intatta la sua attualità. Ma l’attuazione della regola è stata, quasi ovunque, deludente perché, dopo un primo apprezzabile sforzo programmatorio, (sulla scorta delle raccomandazioni dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica) si è proceduto gradualmente ad eliminare la pluralità degli ATC, unificandoli. La situazione attuale – che vede concentrati in un unico ambito provinciale o, nella migliore degli ipotesi, in due soli Ambiti – l’intero TASP, si discosta non soltanto dal criterio dimensionale sub provinciale, ma anche dal modulo organizzativo prefigurato per gli ATC (non a caso la legge parla, all’art. 14, di caccia programmata).
Eppure, nel quadro che ho appena tracciato, la gestione, anzi l’autogestione degli Ambiti, secondo le linee del piano faunistico – venatorio, è condizione imprescindibile per realizzare le finalità originarie della legge 157, pienamente rivalutate dall’inserimento di Rete Natura 2000.

Proposta: Si riformula il comma 1 dell’art. 14, indicando i criteri di massima sopraesposti, cioè individuazione e perimetrazione di ambiti secondo criteri di omogeneità e razionalità, pluralità di Ambiti secondo dimensioni ottimali; si riformula il comma 11 dello stesso art. 14, avendo cura di inserire la caratterizzazione in senso gestionale dell’Ambito nel rispetto degli obbiettivi del piano faunistico – venatorio e delle esigenze di conservazione e tutela degli habitat e delle specie; ecc.
Quanto all’art. 15 della legge 157, fermo restando il regime dei fondi chiusi, si ribadisce il principio di compatibilità dell’esercizio venatorio a condizione che pregiudichi la conservazione della fauna selvatica e non danneggi le colture in atto (art. 1, comma 2) e si sopprime – in considerazione della sua ingestibilità e/o inutilità pratica – il contributo del comma 1 dell’art. 15 a favore dei proprietari e conduttori agricoli.

4.Quarto punto. Ristabilito il giusto rapporto fra pianificazione/programmazione faunistico – venatoria e l’articolazione del TASP in Ambiti, diventano strategici i comitati di gestione degli stessi ambiti per i quali ribadirei: a) il pluralismo rappresentativo garantito dalle quattro componenti fissati dal comma 10 dell’art. 14; b) la gestione gratuita; c) l’assunzione di responsabilità amministrativa e contabile; d) una sana competitività tra ATC se volta a incrementare le risorse naturali o seminaturali disponibili; e) l’esercizio delle podestà inerenti alla gestione delle ZPS e ZSC delegate dalle Regioni. Si tratta quindi di motivare e responsabilizzare le categorie rappresentate nei comitati, nonché dei soci appartenenti all’Ambito, nella speranza di suscitare abitudini per la sua amministrazione e gestione.

Proposta: qualche ritocco all’art. 14 nel senso di renderlo più idoneo a compiti di maggiore impegno, come il conferimento di poteri di gestione delle ZPS e ZCS ricomprese, anche parzialmente, nel perimetro dell’Ambito. Aggiungerei nel comma 11, alla fine, la lettera d):  qualora la gestione delle ZPS e ZSC sia affidata all’Ambito di appartenenza nel cui perimetro ricada, parzialmente o totalmente, il territorio dell’una o dell’altra tipologia di zone, l’organismo direttivo dell’Ambito svolge le seguenti funzioni:
1) ricognizione degli habitat e delle specie per la cui conservazione e tutela la Zona è stata individuata e istituita dalla Regione o designata dall’Unione.
2) indicazione delle misure di conservazione e, in caso di degrado, di ripristino.
3) elaborazione di piani di gestione, se utili o necessari allo scopo di cui alla lettera che precede.
5.Quinto punto. Si tratta del programma di maggior interesse “politico-sindacale”. A fronte della dilagante proliferazione di enti e di apparati, che determinano un esorbitante incremento di costi a carico dello Stato e delle Regioni, una anomala burocratizzazione del territorio (e di quella sua espressione particolare che sono gli ATC) ed una crescente disaffezione delle popolazioni locali che diffidano di metodi autoritari nella amministrazione di un territorio sul quale hanno acquisto legittime aspettative di autogestione o quanto meno di cogestione, la soluzione qui proposta punta alla semplificazione delle strutture operanti sul territorio e ad una piena responsabilizzazione delle microstrutture degli ATC.
In questa prospettiva prende corpo una proposta orientata alla piena utilizzazione della collaudata organizzazione faunistico – venatoria allo scopo di determinare le condizioni di una fruizione delle sue risorse compatibile con gli impegni contratti allo Stato Italiano nei confronti della Unione Europea per l’attuazione dell’ambizioso progetto di Rete Natura 2000.
Proposta: si richiamano quelle precedenti.

6.Sesto punto. È il più delicato, sotto il profilo istituzionale, perché riguarda le competenze nel rapporto Stato/Regioni. Punto di partenza è l’attribuzione allo Stato della materia ambientale intesa come valore trasversale nei riguardi delle altre materie dell’art. 117 della Costituzione. Lo Stato ha una competenza esclusiva, come ribadisce la recente sentenza n. 104 del 2008 della Corte Costituzionale pronunciata nel giudizio promosso dalle Regioni Lombardia e Veneto e dalle due Provincie autonome per la declaratoria di incostituzionalità del comma 1226 della legge n. 296 (legge finanziaria per il 2007). Ma accanto alla affermazione del principio della statualità, c’è un vasto territorio inesplorato [hic sunt leones] di competenze indefinite, riconducibili, a seconda della interpretazione che se ne dà, ora al polo statale ora al polo regionale. La Corte manifesta la tendenza a ricondurre sotto l’egida statale una vasta gamma di comportamenti.
Il caso dei “criteri minimi uniformi” ne è un esempio. Se non è in discussione la potestà statale di imporli, è invece contestabile l’imputazione allo Stato, sotto il profilo contenutistico, dei criteri dettati dal D.M. 17 ottobre 2007, che è – e sarà – un campo di contrasti interpretativi e applicativi. Il decreto, infatti, presenta numerosi nodi irrisolti sui quali sarebbe utile l’intervento della Conferenza Stato/Regioni, come ha fatto – anche se non esaustivamente – in occasione del parere sulla bozza del medesimo decreto, subordinando il parere favorevole alla abrogazione della delibera del Comitato per le aree naturali protette del 2 dicembre 1996 (che aveva incluso immotivatamente, a tutti gli effetti, le ZPS e ZSC, nell’elenco delle aree naturali protette della legge n. 394/91).

Proposta: Essendo apertissimo il problema della validità dei divieti venatori dell’art. 5 del D.M. 17 ottobre 2007 – contenuti nelle prime dieci lettere da a) a j) – in quanto privi di giustificazione in rapporto con i fini conservativi degli habitat e delle specie per i quali le ZPS sono state istituite; e parimenti irrisolto il problema della ammissibilità delle minuziose e dettagliate disposizioni dettate per le tredici tipologie di Zone (elaborate dalla LIPU), occorre attivare un tavolo tecnico prima che giuridico, per valutare la legittimità e soprattutto di praticabilità di tali disposizioni. La sede potrebbe essere interministeriale (Politiche agricole e Ambiente) e interregionale, con la partecipazione delle componenti venatorie, agricole e protezionistiche.
Se si troverà il punto di equilibrio, toccherà poi alla Regioni e alle Provincie Autonome – a cui compete la individuazione delle ZPS e la proposta delle ZSC – dare il giusto impulso ad una prassi in larga parte innovativa. Lo dico a fronte di provvedimenti già emessi da Regioni che, tenute ad attuare i criteri minimi uniformi del D.M. 17 ottobre 2007 nel termine di nove mesi, hanno semplicemente recepito le previsioni del decreto, anche in campi riservati alla competenza statale (come quelli dei divieti o dell’elenco delle specie cacciabili) o a quella regionale (come nella normativa di dettaglio).

7. Settimo punto. Sganciate dal regime della legge 394/91, le ZPS e ZSC non sono più equiparate alle aree naturali protette ed al regime proprio di queste: sia nazionali che regionali (e non può trovare applicazione la disciplina delle aree contigue dell’art. 32). Allo stesso tempo si restituisce alle Regioni un vasto campo di intervento e di sperimentazione, in cui saranno mobilitate e valorizzate le energie e le competenze disponibili sul territorio.


Avv. Innocenzo Gorlani
 
 
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