La pesca sportiva, o meglio, il presidente della federazione che la rappresenta, Claudio Matteoli, a differenza del suo ononimo ministro Altero che ha sempre sostenuto le ragioni dei cacciatori, prende le distanze dalla caccia. “Non vogliamo essere associati ai cacciatori” dichiara in una improbabile intervista rilasciata al Giornale, quotidiano che ha fatto della crociata della Brambilla una delle sue battaglie più decise, dovuta ovviamente al fatto che ha un direttore animalista, Vittorio Feltri.
Tornando all'intervista di Matteoli è proprio da un intervento del direttore animalista che si parte, visto che Feltri in occasione del convegno de La coscienza degli animali, di cui fa parte, non ha risparmiato i pescatori, accusandoli di perpetrare una crudeltà intollerabile (ossia, testuali parole: imbrogliare il pesce infilandogli una spada un bocca e poi buttarlo in un cestino facendolo morire dopo una lenta agonia). Nominando la pesca sportiva, Feltri non aveva previsto di scatenare il moto di coscienza della Federazione Italiana Pesca Sportiva e attività subacquee aderente al Coni (250 mila iscritti), colpita, pare, nel suo animo animalista. Certo perchè, spiega il presidente dell'associazione nell'intervista “il nostro è uno Sport che non può essere considerato crudele e intollerante”. E' solo una messa in scena. I pesci li prendono, li pesano, li misurano e poi li ributtano vivi e vegeti in acqua. E “se il pesce è danneggiato è prevista la squalifica”. Non solo, “i pesci di grosse dimensioni vengono adagiati su materassini per evitare che si feriscano e ad ogni gara non mancano mai i medicinali”. Un'attenzione tutta italiana, visto che, spiega Matteoli “in Germania c'è l'obbligo di uccidere immediatamente il pesce pescato con uno spillone”.
Il fatto, in sostanza è che “noi pescatori – dichiara Matteoli - non possiamo e non vogliamo essere associati ai cacciatori. “Io – spiega - come moltissimi iscritti alla Fipsas, non sono mai andato a caccia e talvolta non riesco a capirla. Può essere necessaria a volte, come nel caso della caccia di selezione, ad esempio per i cinghiali”. Per il presidente Fipsas, la pesca sportiva è solo una sfida tra l'uomo e il pesce e come succede in ogni gioco che si rispetti “non è divertente se finisce con la morte dell’avversario”. Ma il pesce lo mangia uno come Matteoli? Certo che sì ma se a catturarlo è stato qualcun altro e a condizione che, come nel caso dell'aragosta, tanto menzionata dal direttore animalista, non sia cucinata in modo crudele da viva. “E non sopporto neppure gli acquari nei ristoranti Proprio come Feltri” aggiunge.
Ci tocca constatare l'ovvio, ovvero che la pratica di questo gioco - sfida con il pesce, che rientra a diritto tra gli sport riconosciuti, si deve ad una piccola illusione regalata da una società troppo ricca e indaffarata per occuparsi in termini pratici dell'approvvigionamento del cibo, come invece erano costretti a fare solo poche decine di anni fa i nostri predecessori, e che si è comprata nel tempo il diritto di tenere lontano dalla propria coscienza il rapporto quotidiano che ognuno di noi volente o nolente ha con la morte di altri esseri viventi (che siano piante, mammiferi o pesci) per la propria sopravvivenza.
Capiamo perfettamente che il signor Matteoli abbia paura di essere colpito dalla sferrata animalista e che stia perciò cercando a tutti i costi di prendere distanza dalla caccia e dalla cultura rurale che sta all'origine dell'attività da lui amata, perchè entrambe oggetto dell'attacco quotidiano. Siamo orgogliosi in fondo di questa distanza dal nostro mondo.
Vogliamo inoltre ricordare a quanti ci leggeranno che l'idillio raccontato sulla pesca sportiva non corrisponde a totale verità. Catturare un pesce, con tanto di amo infilzato in gola o in bocca (contro cui il pesce lotta a volte per moltissimi minuti se non ore), costringerlo a passare del tempo fuori dall'acqua per poi ributtarcelo finito il gioco che decreterà chi ha catturato il pesce più grosso, è un terribile stress capace, in percentuali non trascurabili, di ucciderlo dopo una lenta, terribile agonia. Pescare in questo modo non rende onore all'animale, né al gesto, privato della sua forza etica: quella per l'uomo di cibarsi della preda. Siamo noi da cacciatori a non voler essere associati a tanta ipocrisia. Poi, nel rispetto assoluto delle proprie idee, ciascuno veda le cose come vuole.