Nella relazione che presenta la conferenza nazionale in corso in questi giorni a Roma, l'Ispra definisce i principali pericoli per la perdita di biodiversità nel nostro paese: cambiamenti climatici, urbanizzazione, inquinamento, specie aliene, degrado ambientale.
Il pericolo per le 58 mila specie che popolano la nostra nazione (il più alto numero d'Europa) è quindi anche per l'Ente che spesso osteggia i provvedimenti regionali in ambito venatorio, in maniera pressochè nulla imputabile alla caccia. Quel calderone di specie, di cui la metà considerata a rischio, è composto infatti al 98 per cento da invertebrati (55 mila) e protozoi (1812). Rimangono 1188 specie composte in gran parte di anfibi (minacciate il 66 per cento delle specie) e pesci (10 mila specie, di cui il 40 per cento in condizioni critiche). Gli uccelli corrono rischi per il 23 per cento del totale e i mammiferi solo per il 15. Fra quelle oggetto di caccia, ovviamente solo di queste ultime due categorie, nessuna è a rischio. Da questa relazione emerge semmai un concetto che gli ambientalisti fanno finta di non capire: ovvero che la caccia ha dimostrato di saper gestire in maniera sostenibile le risorse faunistiche e il suo impatto con l'ambiente, cosa che non è successa per la maggior parte delle altre attività umane.
La caccia effettivamente non è contemplata tra i fattori di rischio. Anzi, l'Ispra sottolinea che "dal 2000 al 2007 il numero di cacciatori a livello nazionale è diminuito del 6,2%. A livello regionale, ben undici regioni presentano percentuali di riduzione del numero di cacciatori superiori al valore registrato per l’Italia. Solo cinque regioni (Trentino Alto Adige, Lazio, Calabria, Sardegna e Molise), invece, mostrano un aumento del numero dei cacciatori”.Strettamente legato allo stato di conservazione delle specie è poi, sempre per l'Ispra lo stato di conservazione degli habitat, che la caccia contribuisce a tutelare. Nel nostro Paese - si legge nel documento - sono presenti 130 diversi tipi di habitat. Gli habitat in peggior stato di conservazione in Italia sono quelli delle dune (a causa della pressione turistica e di nuovi insediamenti), seguiti da quelli d’acqua dolce e da quelli rocciosi.