Secondo la Unfao (United Nations Food and Agricolture Organisation) quasi la metà dell'economia mondiale si basa direttamente o indirettamente sull'uso delle risorse biologiche. La caccia si colloca tra quelle attività che fanno della sostenibilità ambientale la propria ragione d'essere, grazie alle leggi in vigore ma anche all'esistenza di un'etica del prelievo, consolidata da generazioni.
Quello che i cacciatori hanno realizzato negli ultimi anni in termini di gestione in Europa, va infatti nella medesima direzione di quanto indicato come obiettivo primario dalla Convenzione sulla diversità biologica di Nagoya. Tra le sue decisioni, la Decima Conferenza internazionale ha invitato i suoi componenti a riconoscere il valore umano che opera negli ambienti naturali, compresi quelli che sono stati creati e mantenuti dalle comunità locali. In questa luce, ha espresso apprezzamento per l'iniziativa di una produzione ecologica e sociale del paesaggio, plasmata nel corso degli anni dall'interazione tra uomo e natura. Un punto importante in quanto si discosta da una concezione di rigorosa tutela della natura basata sui divieti (di caccia e di altre attività). Lo stesso principio è stato riconosciuto in Europa con la creazione della rete Natura 2000, che nel tempo ha dimostrato come la caccia possa beneficiare in modo sostenibile della biodiversità.
La Face accoglie di buon grado le posizioni assunte a Nagoya e rilancia l'impegno di portare avanti i principi contenuti nel proprio Manifesto per sottolineare sempre più il ruolo chiave che i cacciatori svolgono nella gestione e nel monitoraggio di specie e habitat. E' alla caccia del resto che la conferenza di Nagoya ha rivolto le proprie speranze per la gestione delle specie esotiche invasive attraverso il controllo diretto e partecipato. Passa da qui senz'altro la riqualificazione in termini del tutto positivi della reputazione globale della caccia.