In una lettera inviata al Presidente della Regione siciliana e agli assessori D'Antrassi (Politiche Agricole) e Sparma (Ambiente) l'Associazione Siciliana Caccia e Natura (Ascn) evidenzia gli effetti negativi per le specie autoctone e per l'ambiente derivanti da una eccessiva limitazione della caccia, che ha contribuito per esempio alla proliferazione di specie non alloctone come il cinghiale e la nutria, responsabili di enormi danni all'intero ecosistema dell'isola.
Il problema, sottolinea Francesco Lo Cascio, Presidente dell'associazione, che chiede una maggiore attenzione in tal senso nel nuovo Piano Faunistico venatorio, è l'esistenza di vastissime aree interdette all'attività venatoria (Parchi, Riserve Naturali e Zps con numerosi divieti). “Il territorio – sottolinea Lo Cascio - deve appartenere alle comunità che lo abitano, deve rappresentare una risorsa e non un limite invalicabile, così come il prelievo di specie animali o vegetali, da eseguirsi dopo la maturazione dei tempi e le dovute cure, tale comportamento non può che accrescere e incrementarne la quantità e la qualità”.
Occorre quindi modificare l'assetto faunistico venatorio della regione. Per Lo Cascio è giunto il momento di “affrontare seriamente la ridistribuzione del territorio che a nostro modestissimo avviso – scrive il Presidente di Ascn - e quello di tantissimi abitanti e operatori agricoli, non dovrebbe superare il 25% dell’agro-silvo-pastorale così come fissato dalla legge nazionale 157/92 e quella regionale 33/97, e giammai con la scusa di proteggere mummificare altro territorio”.