Sono cresciuta in campagna e da me andavano a caccia tutti, dal bisnonno allo zio, mio padre, i suoi amici.
Era naturale vedere selvaggina, dai tordi, ai colombacci, alle lepri, ai fagiani; ai tempi dell’infanzia c’erano ancora le starne, poi scomparse in pochi anni, vuoi per l’inquinamento, vuoi per la mancanza e per la modifica dei territori.
Nonno Dante era un lepraiolo. Ricordo le imprecazioni quando il segugio Bill non tornava… ero molto piccola, ma ricordo bene quel cane dalle orecchie lunghe, esile e veloce, dall’abbaio insistente che si avvertiva in lontananza. Ricordo il mio nonnino con la doppietta in spalla, con gli occhi lucidi quando trovava le pasture… diceva – Vedi queste sono le cacche della lepre, queste sono della femmina -. Poi guardava il cielo e diceva…- Eh, le lepri vanno veloce, ma il cane le trova sempre e io le frego, sono più svelto di loro. Poi facciamo fare le tagliatelle alla nonna Eva…quelle sì che sono buone. Quando non c’era niente da mangiare, partivo la mattina e dovevo trovare qualcosa, per la famiglia. Eravamo contadini e il cappone si poteva uccidere solo a Natale, il resto era per il fattore e per i padroni. Le lepri e le starne qui ci sono sempre state, poi qualche erba buona nei campi e facevamo Natale con quello che si trovava. La natura dà sempre tutto, ma bisogna rispettarla. Per esempio Michelina, “i lepri” se hanno da figliare, tocca aspettare, e a marzo qualche uccello inizia a fare il nido. Infatti adesso a marzo a caccia non ci mandano più e fanno bene, perché molti cacciatori nuovi ste cose non le sanno”.
Io ascoltavo e comprendevo il rispetto per “le stagioni” dei vari animali e cresceva in me la voglia di imparare. Delle quaglie, invece, mi parlava sempre il nonno Delelmo, nonno di mio padre, classe 1900. Ero bambina e stavamo ore in cima alla vigna a parlare. Era già anziano, ma la furbizia di sguardi e gesti non l’ha mai persa. Pipa o toscano in bocca, maglietta della salute in estate, maglia di lana fina e cappello in inverno, era uomo dei tempi che furono, di parola, quella che chiamava “una scrittura”.
Aveva un “quaglierino” fatto da lui con un osso di mucca e la pelle nera, non so di quale animale, ma con quello chiamava le quaglie. - Vedi, tordina del nonno - diceva - questo lo facciamo cantare come i fagianini, sì perché le quaglie sono come dei fagiani piccoli, o delle piccole galline, però loro arrivano dall’Africa come le rondini e vengono da noi per fare il nido, perché laggiù diventa un caldo infernale e invece qui da noi trovano da mangiare e da fare i figli e sono tranquille e poi rivanno via-.
I racconti erano semplici e il linguaggio poco forbito, ma tutto ciò ha contribuito ad accendere in me la curiosità per questi animali ed ho scoperto, nella semplicità delle persone della mia vita, abitudini di molti animali, oltre che i loro habitat. Nonni e bisnonni erano tutti contadini, avevano la cultura della terra e per ogni stagione sapevano quale animale sarebbe arrivato o andato via. Conoscevano nidi, specie, seppur in dialetto, mi insegnavano ciò che poi avrei approfondito da grande.
Nonno Dante era anche fissato per il passo delle palombe nel mese di ottobre, e già a 8 o 9 anni, qualche volta con la sua vespa, mi portava al palchetto. Per me era un divertimento salire sopra la quercia. Dovevo stare attenta a non farmi vedere quando i colombacci arrivavano dal mare, e col “battecco “ mandava via i volantini da richiamo. Mi spiegava cosa mangiavano e dove andavano a “svernare” e che no, non erano piccioni, e che nella padella con le cipolline erano squisiti. In effetti aveva ragione, li cucino ancora così ed anche nel ragù non sono niente male.
Grazie ai nonni, ho imparato ad apprezzare tutta la cacciagione: mi ricordo come in un sogno, me in piedi su una seggiolina, al tavolo dei bisnonni, che mi facevano assaggiare gli uccellini, e mi davano il petto, il fegatino, il cuoricino.... Erano altri tempi, tempi lontani, ma bagaglio della mia personale esperienza ed umanità. Forse proprio a quella tavola, davanti al camino, su quella piccola seggiolina, ho imparato umiltà e generosità. In fondo, basta poco per fare felice un bambino, e certi ricordi segnano per sempre la vita di ognuno. Quello di cui il mondo odierno avrebbe bisogno: la condivisione di certe esperienze e il rimetterle in pratica.
Essendo nata femmina, non ebbi il privilegio di essere introdotta alla caccia in modo “naturale”, come se fossi nata maschio! Dovetti crescere, per prendere la licenza, ma gli insegnamenti naturali di nonni e bisnonni mi hanno aperto la strada alla conoscenza, alla voglia di sapere. Quando cammino per le montagne, o in riva ad un lago, osservo attentamente, come facevano loro, piste sul terreno, rimesse, tracce, escrementi, nidi, penne, voli di uccelli, tutto ciò che si muove, consapevole di ciò che ho appreso sin dall’infanzia, sempre pronta a imparare cose nuove, perché mai si finisce di imparare, soprattutto da Madre Natura.
Michela Pacassoni