Giacomo Puccini ha dominato il 2008 che sta finendo con lo struggente ricordo della Sua arte raffinata e senza confini.
Non è solo l’arte ad aver mantenuto intatto nella mente della gente il ricordo e l’interesse per questo personaggio, tanto tipicamente italiano nei gusti raffinati e nei modi signorili, quanto internazionale e cosmopolita per la sua semplicità e il suo attaccamento alla natura.
Puccini è stato soprattutto uno scellerato e antesignano amante del territorio, parte stessa della sua arte, della sua persona, delle sue relazioni con gli altri. Quando si stabilì a Torre del Lago, nel 1891, erano chiare tre cose, une e trine come la trinità: era già un grande artista (ormai la Manon era in arrivo), non aveva un soldo (la casa della madre era stata venduta a riscatto), era andato ad abitare in un territorio allora selvaggio dove, con le sue stesse parole, “si poteva sognare ad occhi aperti………..”.
Ne guadagnorono la freschezza della sua arte, la sua passione smisurata per la caccia, maturata già fin da giovane nelle campagne lucchesi, la sua altrettanto smisurata passione per il cibo e gli amici, in più ottenne lo “smarcamento” dalle inevitabili grinfie della consorte.
Fu però, soprattutto, mano a mano assalito da pensieri antesignani del moderno “ambientalismo”, parola ambigua spesso oggi confusa con la politica e con la tendenza irrazionale del “no” a tutto e sempre, che invece in lui fu intrisa dell’essenza stessa di fruitore attivo della natura circostante, quale artista e quale cacciatore.
Diventato benestante, non progettò complessi residenziali o mini appartamenti da affittare ai suoi ammiratori, ma, in quella realtà selvaggia e primordiale, acquistò, nel 1895, la capanna di “Gambe di Merlo”, emigrato in America, fondandovi il goliardico “ Club della Bohème”.
Benchè scrivesse al cognato “porta cartucce buone…” e, quando ritardava, dicesse alla sorella “ dagli un cazzotto e scaraventalo qui……..” il suo amore sconfinato verso l’ambiente del Lago di Massaciuccoli non ha riscontri letterari simili, se non forse in Rigoni Stern, nella letteratura italiana moderna: “Paese tranquillo, con macchie splendide fino al mare, popolate di daini, cignali, lepri, conigli, fagiani, beccacce, merli, fringuelli, passeri. Tramonti lussuriosi e straordinari. Aria maccherona d’estate, splendida di primavera e d’autunno….Oltre i centoventi abitanti e le dodici case, canali navigabili, trogloditiche capanne di falasco e diverse folaghe, fischioni, tuffelli e mestoloni, che sono certo più intelligenti degli abitanti, perché difficili ad accostarsi……….”
Questo eden selvaggio, non certo per colpa di Puccini, del suo fucile e del suo barchino o dei fumi degli arrosti provenienti dalla capanna di “Gambe di Merlo”, purtroppo cominciò a deteriorarsi dopo la fine della prima guerra mondiale. L’industrializzazione massiccia, unita ad uno sfruttamento dell’ambiente non programmato e non oggetto di valutazioni scientifiche, arrivò come una mannaia anche sul Lago di Massaciuccoli. L’escavazione della sabbia, sempre più intensiva (quello che accade oggi nelle barene del PO), l’impianto di una società industriale di estrazione della torba che arrivò a contare circa mille addetti, costrinsero addirittura Puccini ad abbandonare il luogo nel 1921, andando ad abitare a Viareggio, al Marco Polo. E’ la fine di un’epoca.
Bisognerà arrivare addirittura agli anni ‘70-’80 del novecento perché il neonato Parco Regionale Migliarino San Rossore Massaciuccoli vietasse finalmente le escavazioni e l’estrazione di torba dal Lago. L’antesignano della lotta per la salvezza di questo sito ambientale di eccezionale importanza fu proprio il più famoso cacciatore delle rive del Lago di Massaciuccoli, Giacomo Puccini. In una accorata lettera del 23 Luglio 1921, indirizzata a Renato Simoni, scrive: “ Ti prego, ti scongiuro di vedere e parlare al Sign. Toeplitz, direttore generale della Banca Commerciale, perché lui intervenga colla direzione delle Torbiere di qui, perché non mi venga tolta la caccia nel lago che da più di 15 anni io ho tenuto.
Tu solo puoi salvarmi. Se no devo sloggiare per sempre da Torre del Lago”. Le sue pressioni sulla Banca Commerciale erano dovute al fatto che, con la crisi industriale del primo dopoguerra, la banca era ormai divenuta proprietaria dell’ILVA, da cui dipendevano le torbiere. I suoi sforzi per difendere l’ambiente naturale del lago furono strenui e continui, ma vani. Maturò quindi quello che Puccini stesso definisce “ il più grande dolore della mia vita”. Il “club della bohème” nella capanna di falasco sarà sostituito dal “borghese” club “Gianni Schicchi” nella villa di Viareggio, la vita di Puccini volge verso la fine.
Quanto poco tenesse in conto le istituzioni degli uomini e quanto molto difendesse quelle immutabili della natura lo rivela pochi mesi prima della morte, quando viene nominato Senatore del Regno: “Ora sono un sonatore del Regno”. Il 30 ottobre del 1924, a quattro giorni dalla partenza per Bruxelles, dove avrebbe subito l’intervento alla gola che l’avrebbe portato alla morte quello stesso mese, Puccini, allo stremo delle forze, fa un’ultima cosa che considera irrinunciabile. Va, per l’ultima volta, a caccia a Torre del Lago. Sta muorendo insieme all’ambiente che lo ha creato e plasmato e che ha cercato di difendere strenuamente fino all’ultimo.
Stefano Costa Reghini Simoni
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