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Questione di Stile

Cacciatora di fustagno
VESTIVAMO ALLA MAREMMANA

Negli ultimi anni si sta affermando un modo di vestire, uno stile, che trae ispirazione dagli abiti “da campagna” dei nostri bisnonni. Una recente ricerca sui butteri ci ricorda che anche per la caccia gli abiti sono un elemento importante al fine di consolidare una nostra più precisa identità.

Chi più di BigHunter conosce il gusto dei cacciatori italiani in fatto di abiti, attrezzature, accessori? Le decine, centinaia di migliaia di richieste, ormai, che sono immagazzinate al centro elaborazione dati di questo meraviglioso megastore virtuale della caccia, costituiscono forse la più importante banca-dati del settore sull’argomento. Pur senza conoscerne i dettagli, si può affermare senza tema di smentita che il successo del “Big Catalogo” sta decretando la multiforme ed eterogenea varietà di gusti, di stili, di tendenze che caratterizza l’acquirente medio di prodotti per la caccia. Lo dimostrano il costante e consistente aumento di articoli proposti e l’ormai onnicomprensivo elenco delle griffe che fanno a gara per esservi presenti con i modelli della loro ultima collezione. Interessati a un’idea della caccia che possa convivere con i mutamenti rapidi dell’epoca contemporanea, ci chiediamo se questo fenomeno che si addice di più ai meccanismi della moda, piuttosto che a quelli dell’eleganza o del ben vestire, sia un bene oppure no. Secondo noi è un bene. E’ indubbiamente un fatto positivo, perchè in ogni caso lo stile Big Hunter, seppur profondamente eterogeneo, costituisce di per sè un forte elemento di connotazione che sfata la vecchia immagine di un cacciatore trasandato, sciatto, un soggetto fuori dal tempo e dallo spazio. Al contrario, invece, lo stile caccia, oggi più genericamente definito country dal mondo della moda che se ne è appropriato, caratterizza un modo di essere e di vestire che spesso è simbolo di buon gusto, sobrietà, signorilità. E’ comunque un solido punto di partenza, questo della acquisita consapevolezza che per andare a caccia occorre un abbigliamento specifico, da cui si può prendere spunto per un progetto meglio definito per un hunter style, così come con una certa invidia lo intravediamo da sempre in altri paesi  come l’Inghilterra, ovviamente, la Germania e la Mitteleuropa in genere. Le avanguardie, anche da noi, già da tempo ci vanno pensando. Chi non ha visto qualche volta i nostri cacciatori della zona Alpi, ma anche quelli appenninici, andare in giro pure nel dopocaccia, agghindati alla tirolese o come gentiluomini di campagna della Baviera. Benissimo, va benissimo, tanto per  cominciare. Di più: è qualche anno ormai che le strasolite avanguardie organizzate (Urca, per esempio), stanno riflettendo sul come individuare uno stile proprio, originale o, meglio, tradizionale, tutto italiano, che si avvicini di più alla nostra storia, alla nostra cultura, al nostro modo di vivere la campagna. E’ sicuramente una bella scommessa, perchè come ben sappiamo, noi italiani siamo degli individualisti, ricchi di fantasia, ci piace distinguerci l’uno dall’altro, e perdipiù lo stivale è lungo e ogni regione ha di che dire la sua nel rappresentare le proprie tradizioni. Del resto, non siamo soli in questa ricerca filologico-abbigliamentare (si potrà dire?) che mira a meglio identificare il nostro essere cacciatori. In terra etrusco-romana, per esempio, si stanno altrettanto interrogando su come mantenere in vita le tradizioni della Maremma. E’ uscito di recente, al proposito, una deliziosa monografia, nella quale Alessandro Lenarda e Giorgio Salvatori hanno raccolto immagini, documenti e testimonianze, e proposto all’attenzione degli appassionati la figura del buttero, il mitico cow boy de noantri, anche se non è proprio così, che un tempo con il suo cavallo faceva parte a buon diritto del paesaggio delle maremme dell’Italia centrale e meridionale. Artista eclettico, Lenarda ha illustrato questo volume con disegni tratti da opere di famosi pittori dell’Ottocento (Coleman in particolare), che descrissero la vita della gente di maremma in tutte le sue forme, lasciando documentazione incontrovertibile degli usi e in particolare dei “costumi” dell’epoca. Giorgio Salvatori, giornalista del TG2, colto sensibile e appassionato della campagna, autore fra l’altro di un libro di successo sulla storia dei Sioux, ha invece fornito a quei disegni un compendio storico-antropologico dall’Ottocento ai giorni nostri, degli uomini, principi e garzoni, che vissero e operarono in quella terra mitica e maledetta. N’è venuto fuori il gustoso affresco di un epoca alla quale anche noi cacciatori potremmo attingere e trarne ispirazione per un progetto che partendo dal modo di vestire ci riportasse a un più genuino e più solido modo di essere. E in un’epoca in cui tutto rapidamente cade nell’oblio, Sant’Uberto sa se ne avremmo bisogno. D’altra parte, anche a noi, i modelli, i riferimenti non mancano. Da Eugenio Cecconi, per esempio, grande interprete della lezione del grande Giovanni Fattori, anch’egli cantore appassionato della maremma e dei butteri, si possono trarre infiniti spunti anche per individuare una “divisa” ideale del cacciatore, come già fece del resto Roberto Lemmi illustrando le infinite scene di caccia sulle copertine di “Diana”. Come già fecero, anche prima di loro, molti altri artisti a cavallo fra Ottocento e Novecento (ci viene in mente fra tutti il piemontese Giovan Battista Quadrone), dai quali  attinsero peraltro e continuano ad attingere tutti coloro che, professionisti della moda o semplici cultori del bello, credono come noi che vestire alla cacciatora sia una categoria dell’anima. Ci vogliamo pensare?

Giuliano Incerpi

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