Sempre di più l'argomento caccia trova spazio anche su importanti quotidiani, con visioni più ampie e oneste di quelle a cui eravamo purtroppo abituati. Sul blog Bonnie & Co del Corriere.it, il giornalista e scrittore Fabrizio Rondolino, da non cacciatore, dedica alcune riflessioni più che condivisibili a partire da questa considerazione: "Non ammazzerei neppure la zanzara che mi punge, ma noi umani siamo anche carnivori. E la carne che arriva dagli allevamenti porta con sé una mancanza di rispetto per gli animali molto maggiore rispetto a quella proveniente dall’attività venatoria". Per gentile concessione di Rondolino, riproponiamo l'articolo anche su BigHunter.it.
Caccia, natura e biodiversità (e la carne che mangiamo): riflessioni di un non cacciatore
Spero di non infastidire nessuno, fra i lettori di questa rubrica, se oggi parlerò di caccia. So che è un argomento capace di infiammare gli animi e scatenare reazioni viscerali, ma confido nella ragionevolezza di tutti. Personalmente non ho mai sparato ad un animale e, per dirla tutta, preferisco non ammazzare neppure le zanzare, la cui vita mi pare tutto sommato più preziosa della gocciolina di sangue che mi sottraggono: ma non fare una cosa non significa che quella cosa sia brutta o sbagliata. E francamente, per le ragioni che proverò a spiegare fra poco, penso che la caccia non sia né brutta né sbagliata.
L’occasione di questa riflessione è la recente nomina di Luca Santini alla presidenza di Federparchi, l’associazione che riunisce e rappresenta gli enti gestori delle aree protette italiane. «Una scelta grave», ha commentato una delle tante associazioni animaliste, perché Santini è (anche) un cacciatore e la sua nomina «appare in contraddizione con lo stesso Statuto dell’associazione nel cui preambolo si afferma che ‘le aree protette rivestono un ruolo primario nella conservazione della biodiversità’». Letto questo comunicato, mi sono chiesto: che cosa c’entra la caccia con la biodiversità? Niente, a meno che per caccia non si intenda lo sterminio sistematico delle specie in via di estinzione. Siccome però non è così, perché la caccia com’è noto a tutti è strettamente regolamentata, mi sono chiesto se si trattasse di malafede, di scarsa conoscenza dei fatti o, più probabilmente, di pura propaganda. La propaganda è quella forma di comunicazione che prescinde dalla realtà per solleticare gli istinti più irrazionali, le paure più profonde, i desideri più ambiziosi. Viviamo tempi impregnati di propaganda, e per questo è sempre più difficile discutere serenamente, o anche soltanto capire di che cosa si sta discutendo. Ma torniamo alla caccia e ai cacciatori. Che cosa c’è di sbagliato, dal punto di vista etologico, animalista, ambientalista?
Cominciamo dall’inizio: come i nostri cugini primi, gli scimpanzé, noi umani siamo (anche) carnivori: altrimenti non avremmo i canini. Possiamo scegliere di diventare vegetariani o vegani, ma non possiamo cancellare, né tantomeno criminalizzare, la nostra natura, il nostro essere naturale. E siccome siamo carnivori, uccidere un animale per cibarsene è parte integrante della nostra vita quotidiana: semplicemente, non siamo noi a occuparcene direttamente. Ci limitiamo a comprare la fettina e a metterla in padella. Il cacciatore invece l’animale se lo va a cercare, lo uccide, lo prepara, lo cucina e infine se lo mangia. L’unica vera differenza depone a favore del cacciatore: la sua preda ha vissuto in libertà e secondo natura, al contrario dei milioni di vitelli, maiali e polli che, prima di finire al supermercato, sopravvivono in cubicoli dove non possono muoversi, sono alimentati artificialmente, non vedono mai la luce del sole né tanto meno un filo d’erba. Chi rispetta di più gli animali?
Aggiungo che un cacciatore, diversamente da molti escursionisti della domenica innamorati della natura, conosce perfettamente l’ecosistema in cui si muove, lo rispetta, ne percepisce sfumature e dettagli che a noi abitualmente sfuggono, e più di noi è attento alla protezione dell’ambiente, quantomeno perché così può continuare a cacciare. In questi anni in campagna ho imparato molto da un amico col fucile: sulle abitudini dei cinghiali, sui movimenti delle volpi e delle faine, ma anche sulla semina delle piante in giardino piuttosto che sulle previsioni meteorologiche. Forse soltanto i naturalisti di professione ne sanno di più sulla natura che ci circonda.
Qualcuno obietterà che noi umani a caccia andiamo col fucile, non a mani nude: e questo rende la caccia squilibrata e fin troppo facile. A parte che non è affatto facile scovare un animale selvatico e centrarlo, anche in questo caso dovremmo riflettere su che cosa significa «natura». La nostra civiltà è, dal punto di vista evolutivo, un frutto della natura: non ci è piovuta dal cielo, l’abbiamo costruita noi, e noi siamo animali. Così come per proteggerci dal freddo usiamo i vestiti anziché il pelo, o prendiamo la macchina anziché adoperare le zampe, allo stesso modo spariamo anziché sbranare. Sarebbe buffo se una gazzella si lamentasse del fatto che il leone ha gli artigli e i canini, e lei invece no. È la natura, e non è né giusta né sbagliata.
Auguri dunque a Luca Santini, da dieci anni presidente del Parco nazionale delle Foreste Casentinesi e promotore di numerosi progetti di tutela della biodiversità e della fauna selvatica dell’Appennino, fra cui la fondamentale “ShepherdSchool”, scuola di formazione teorica e pratica per pastori e allevatori mirata in particolare a gestire il conflitto con i predatori ricorrendo ai cani da guardiania anziché al fucile. «Il lupo si è espanso, è vero – ha spiegato Santini – quindi capisco che ci sia della preoccupazione, però si possono prendere ad esempio tutte le esperienze fatte nei luoghi in cui il lupo è presente da sempre, come in molti Paesi europei. Se le amministrazioni prendessero a modello quelle realtà forse si arriverebbe presto alla conclusione che il lupo non è né buono né cattivo, fa solo il suo lavoro da predatore». E se lo dice un cacciatore…
Fabrizio Rondolino
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