Attendeva la stagione con l’ansia di una volta. Guardava il cielo e studiava le previsioni meteorologiche, le analizzava, sperando che la pioggia prima e poi le giornate di sole venissero nei tempi giusti, tutto per cercare di capire se e quando la stagione dei funghi sarebbe iniziata. Ceno, non era come quando aspettava l’altra stagione, del cui arrivo ed inizio lui sapeva bene i tempi, perché li stabilivano le regole e le leggi; quella stagione che aveva atteso per tanti anni, ed alla quale si preparava allenando il cane e curando i suoi fucili, a volte caricandosi addirittura le cartucce da solo, come ormai non faceva più nessuno.
Invece la stagione dei funghi porcini non aveva regole fisse; poteva iniziare a giugno, come a luglio, o anche ad agosto, ma quella vera, quella sicura, era quella che andava da settembre ad ottobre ed anche novembre. E poi c’erano i cardinali di dicembre e, certe volte, addirittura anche di gennaio.
Erano ormai diversi anni che vi si dedicava, come mai aveva fatto in passato; seppure anche allora non succedesse spesso che rientrasse dalle battute di caccia senza qualche porcino o cardinale in fondo al tascapane - dei quali restava a volte ben poco del loro bel aspetto, quando a casa li estraeva, perché sbattuti qua e là nella foga di seguire il cane sulle peste di una beccaccia ostinata.
Lo avevano convinto a farlo per tante ragioni, anche valide, anche necessarie; la famiglia, gli anni che passavano, la paura di eventi imprevedibili, i rischi che qualcuno paventava, il timore di conseguenze che potevano un giorno rivelarsi negative per la salute... Fatto sta, aveva deciso di appendere al chiodo il fucile. E così li aveva chiusi tutti in quell’armadio nel seminterrato, nascondendo la chiave dove solo lui sapeva.
Si era trasformato in un cercatore di funghi, perché l’ansia della ricerca non si era affatto sopita in lui. Il profumo dei boschi ancor umidi di rugiada o intrisi di pioggia autunnale lo richiamavano, ne aveva bisogno, gli colmavano il vuoto che si sentiva dentro quando giungeva la stagione, quella vera, quella di un tempo. E allora andava a funghi, col suo cestino sottobraccio, il suo bastone, la sua vecchia cacciatora, usa ed ancora odorosa di selvaggina e cartucce sparate benché lavata e rilavata: ma forse sentiva quell’afrore di un tempo, solo perché era nella sua immaginazione.
E allora andava a funghi.
Quell’anno ci fu un passo di beccacce eccezionale. Si era portato appresso il cane di suo cognato, un Setter bianco-sporco che della su razza aveva solo più l’aspetto, visto il tempo che passava nel suo recinto o a bighellonare per il giardino. «Gli farà piacere», aveva pensato. «Si farà qualche bella corsa nella boscaglia, e chissà che non sappia ancora scovare qualche regina.»
Il cane filava dritto davanti a lui, e subito lo perse di vista; ma non se ne curò perché aveva cominciato a trovare i cardinali: quanti, quell’anno! Conosceva il posto, una fitta macchia di carpinella aggrovigliata e bassa, che ti dovevi chinare in continuazione per fenderla; ma era lì che nascevano i cardinali. Quando già il cesto era colmo, ad un certo punto realizzò che non sentiva più il cane. «Fiiist! Fiiist!» fischiò, modulando le labbra come faceva un tempo per chiamare il suo Boris (glielo avevano avvelenato, Boris, e forse fu anche per questo che si lasciò convincere ad appendere la doppietta nel seminterrato). Silenzio.
Proseguì fendendo la selvaggia boscaglia, ed ad un certo punto lo vide. Immobile, come una delle tante rocce grigio-biancastre di quei luoghi. Era in ferma. «Una beccaccia!» pensò, e sentì il cuore sobbalzargli nel petto. Si avvicinò pian piano al cane come era d’uso fare un tempo, accarezzandolo e, come un soffio: «bravo, “Boris”, bravo!» gli sfuggi dalle labbra l’antico incitamento. Poi prese ad avanzare lento, fino a che il frullo spezzò quell’atmosfera di silenzio, di profumo di muschio bagnato e di ritmi cardiaci all’unisono tra lui ed il cane. E la beccaccia schizzò via tra i rami delle carpinelle, essere bruno e misterioso come gli era apparsa tante volte in tante altre occasioni; fu istintivo alzare il bastone e puntarlo; e addirittura quasi gli sembrò di sentire lo scoppio della cartuccia nella canna di destra della sua doppiena. La beccaccia sparì oltre la cortina delle carpinelle, ed il cane corse a cercarla ancora, forse stranito per il colpo di fucile che non aveva sentito, chissà, magari certo che avrebbe ritrovato lo stesso la preda abbattuta, oltre il vicino orizzonte della ramaglia.
Ricordò il suo Boris; lui sì l’avrebbe trovata subito la beccaccia, sia che fosse caduta sotto i suoi colpi, sia che si fosse rimessa in qualche altra valletta. Ricordò Boris e lo vide lavorare come un tempo, col muso alzato a cercare l’odore delle regine; «in un’annata come questa ne avrebbe alzate a decine!» Era un campione, Boris.
Quando più tardi rientrò a casa, dopo aver rinchiuso il cane nel suo recinto - con una pacca ed un «bravo “Boris”, bravo! non ti sei dimenticato come si fa: le sai trovare anche tu le beccacce!» -, discese nel seminterrato, cercò la chiave ed aprì l’armadio dei fucili; subito Io pervase il forte odore di oliature con le quali li aveva protetti, e, come tante altre volte, se ne inebriò. Staccò la doppietta preferita e ne senti piacevolmente il peso; la rimirò un poco, assorto: ne aveva fatti di tiri con quella! Poi la portò d’istinto alla spalla e, «pam» «pam» sussurrò a mezza voce, immaginando ancora l’alzata della beccaccia lassù nella boscaglia sotto il Monte Camino.
Franco Zunino
Concorrente al 18° Concorso Nazionale per Racconti di Caccia "Giugno del Cacciatore"