Finimmo di caricare cartucce che erano passate le 23. I primi tordi erano già entrati alle “Terre”. Albino ne aveva buttati giù una diecina dopo avere fatto il pane. Dal forno lo avrebbe portato giù al banco sua sorella Santina. Nel pomeriggio era passato da mia nonna, era cugina di sua mamma, Mimmo il genero di Giovanni Minichiello. Abitava ai Piani di Melia in una casa senza luce e senza acqua. Quest’ultima la portava in delle botti di legno col mulo, da una sorgente che si diceva avesse del miracoloso. Poi lume a petrolio e tanta legna per fare da mangiare e scaldarsi... La legna non mancava, il bosco era generoso. Mimmo aveva sentito sparare ed incrociato Albino mentre andava a cogliere olive, almeno tre quattro ore, per poi recarsi in paese, a piedi.
Mio zio Vittorio si era messo a parlottare con Mimmo e quest’ultimo annuiva con la testa.
“Ho detto a Mimmo di passarti il fucile dalla finestra domani mattina.Bussa , stai attento e allontanati se incontri qualcuno che non conosci”.
Con mio zio Vittorio ero stato due giorni di fila alle Terre, sabato e domenica,ma era presto a regola per il passo.Solo quattro “marbizze” in due giorni, ma era il primo segno. ”Stanno per entrare”mi aveva anticipato. ”Durante la settimana c’è poca gente,forse incontrerai il barbiere di Scilla che il lunedì fa festa.Quella è la casa di Mimmo e di Giovanni Minichiello.”
Non mi aveva detto altro quella domenica. Eravamo stati accovacciati uno accanto all’altro guardando la “truffata” nell’oliveta dei Marchetta. Un posto di entrata unico. Le “marvizze” si buttavano prima di volare verso gli ulivi. Era una “posata” eccezionale e mio zio Vittorio ricordava di averne buttate giù da fermo anche 25 in una mattina. Le “posate” migliori erano 5 o 6 in tutti i Piani specie dove c’erano ulive “ottuarie” di cui le “marvizze “erano ghiotte.
Quella notte non chiusi occhio. Alle quattro ero in piedi. Un pezzo di pane e quattro “satizze”(salsicce), la borsa di cartucce a tracolla, il bicchiere di metallo per l’acqua, la pila per vedere. Prima delle “Terre” c’era una “zimba” dove su un soppalco nella paglia c’erano mele ad ingiallire. Erano la mia razione di frutta quotidiana.
Mi fermavo, ne prendevo un paio, richiudevo e via verso gli ultimi due chilometri su per la viottola. La casa di Mimmo era là, bussai alla finestra, la vidi aprirsi leggermente e sbucare un fucile con i cani esterni . Nemmeno il buongiorno, solo un ”Stai attento”, “Si” risposi. Strinsi il fucile al petto come fosse una creatura, come se un qualcosa fatto di legno e metallo avesse un’anima. E… si fece giorno, fermo dietro una ginestra guardavo in direzione dello Stretto che si vedeva in lontananza. Poi uno zirlo, una fiammata e un’altra ancora. ”Avevo dato troppo anticipo e lo vidi sparire in lontananza. Poi gli zirli si susseguirono, e le cartucce cominciarano a scemare. Mi accorsi che se avessi seguitato a sparare in quel modo sarei rimasto senza. Mi dissi: ”Datti una calmata”. Alle 11 avevo fatto una discreto mazzo,14 marvizze e tante padelle. Rimasi con 6-7 cartucce e decisi di riportare il fucile a Mimmo. Era andato a prendere l’acqua alla sorgente del “Cioto”. Lo lasciai a suo suocero Giovanni che mi riconobbe: ”Tale e quale a tuo padre” mi disse salutandomi.
E’ stata la mia prima uscita da solo a tordi. A quella ne seguirono tante per mesi e mesi. Non c’era tempo che mi fermasse ed ogni volta mi sembrava la prima. La porto ancora nel cuore. E’ come il primo amore, la prima cotta con la compagna di classe che ancora rivedi. Ricordi o meglio miracoli senza età che solo questa nostra passione è capace di perpetuare e che ancora a volte ci fanno compagnia.
Giuseppe Stilo